La mossa del gatto

La mossa del gatto

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Autore: Hugues Pagan

Segura non lo sa, ma è un uomo morto. Ha cercato di fregare Farrugia, e a Parigi tutti sanno che con il vecchio non si scherza. La valigetta con i diamanti, frutto del colpo a place Vendöme, ce l’ha lui. Ma prima che Farrugia riesca a vendicarsi, arriva qualcun altro a sbarazzarsi di Segura. E la valigetta sparisce.
Ingrid è l’ultima donna ad aver visto Segura. Ha quattro conti in quattro banche diverse, troppi per una semplice prostituta: tutti pensano che abbia lei la valigetta.
Diogene ha gli occhi chiari, ed è un killer. Non ha mai fatto nient’altro da quando aveva vent’anni. Diogene non è il suo vero nome, lo chiamano così perché è sempre alla ricerca di un uomo. Questa volta sta cercando una donna: Ingrid.
A Parigi i rapporti di forze nel mondo del crimine stanno cambiando, e lo scontro semina morti per la città. Per fermare tutto l’ispettore Lantier deve mettere le mani sulla valigetta e sulla ragazza prima degli altri, ma ignora che le due non viaggiano insieme. Alla polizia c’è solo una persona che ne è al corrente, qualcuno che resta nell’ombra. È l’ispettore Katz, l’aria sorniona e lo scatto implacabile del felino di cui porta il nome. Katz è un uomo che ha fatto una scelta sbagliata, ma ha ancora una coerenza, e questo a molti dà fastidio. Soprattutto tra i colleghi. Per lui ora è il momento di regolare i conti.
Lento e implacabile, sta tendendo i fili della sua trappola… Pagan torna al noir con uno dei suoi capolavori.
Un thriller complesso e stringente, preciso come un meccanismo a orologeria, dove la vera protagonista è ancora la Notte: quel sottile crepuscolo morale dove Bene e Male si confondono, quella lenta caduta dell’uomo nel baratro inevitabile della sconfitta.


Lo stile, la potenza,il senso d'ineluttabilità del male
fanno pensare a uno scrittore tra Céline e Ellroy.
- Diario -
Con Pagan il noir esce da se stesso e racconta la coerenza morale.
- La Repubblica -
Romantico come Gli amanti del pont neuf,
tosto come un Jim Thompson d'annata
e insospettabilmente venato di salutare autoironia.
- Giancarlo De Cataldo -



Autore

Hugues Pagan nato nel 1946 in Algeria, terra di cui conserva tuttora un ricordo abbagliante, Hugues Pagan "rientra in Francia per obbligo e vi rimane per necessità". Come molti pied noir vive un certo senso di sradicamento: un’irrequietudine che lo spinge a scelte radicali e apparentemente contraddittorie.
Dagli studi filosofici all’impegno politico sulle barricate del Maggio francese, fino alla decisione, nel 1973, di entrare in polizia.
Infine, a partire dal 1982, la letteratura: quasi un riflesso unitario delle proprie esperienze. Già dal primo romanzo, L’ingenuità delle opere fallite, Pagan si mostra capace di esprimere - attraverso un registro tesissimo, in funambolica sospensione tra ridondanza e asciuttezza - quell’indomita fede nel realismo che obbliga la letteratura a farsi testimonianza.
Due domande a Hugues Pagan: Ex ispettore nella polizia di Parigi, molto critico sul modo in cui quel lavoro viene svolto, Hugues Pagan è diventato una figura di riferimento nell’universo del romanzo poliziesco. Il sarcasmo e l’ironia celano un sentimento di ribellione alimentato più da ideali utopistici che da una semplice disillusione.
La tematica ricorrente della morte, con l’eroe "già morto prima ancora di morire", è alla base dei suoi romanzi. Questo tema è legato alla disillusione del lavoro di poliziotto o ci sono delle radici esistenziali più profonde?
È vero, uno dei temi ricorrenti dei miei romanzi è la lenta agonia che precede la morte. E probabilmente non sono estranei i miei legami familiari con i gitani di Barcellona, un nucleo di persone che intrattiene un rapporto molto particolare con la morte, quella stessa perversione malsana che si ritrova nelle corride. Senza parlare del commissariato, dove questo tipo di frequentazione e’ praticamente quotidiana.
Ma la coerenza della critica sociale non viene spezzata dalla soggettività del disinganno, nella misura in cui la denucia della corruzione, della violenza o del complotto nella polizia passano attraverso il prisma della narrativa? Da una parte c’è il discorso politico, che per me non è mai cambiato, a partire dal ’68, e dall’altra una parte di fantasia, che oltrepassa questo aspetto e porta avanti la narrazione. Non è semplice, "tenere il culo su due sedie". Si tratta di conciliare un discorso coerente su una situazione sociale desolante e l’immaginazione nevrotica di un autore.
Anni fa qualcuno mi aveva chiesto se non avrei fatto meglio a darmi al giornalismo, e io avevo risposto che ci sono già altri che lo fanno molto bene. Quando ci si muove partendo dal particolare, la sfida è di arrivare a una forma che abbia un senso universale. Questo si collega anche al mio legame con l’etica. Io non credo a una politica che non sia basata su un senso etico. All’inizio bisogna avere una morale senza compromessi.
Come diceva Camus, citando Chamfort: "Bisogna essere generosi prima di essere giusti, proprio come bisogna avere una camicia prima di pensare ai pantaloni". È necessario avere un senso etico prima di quello politico. La nostra unica speranza passa attraverso l’etica. Purtroppo l’etica ha delle variabili e si può pensare, ahimè, che ci sia anche un’etica dell’indice di borsa. Non ne sono sicuro, ma è possibile. Credo di essere stato un scrittore punk anzitempo perché, pensando al traguardo finale, non si sa mai chiaramente dove si arriverà. Spesso mi viene rimproverato il nero assoluto dei miei personaggi, il mio pessimismo totale. Ma io descrivo solo la realtà, parto sempre da fatti e persone reali. E il mio lato artistico si sovrappone a questa realtà, la "veste". Il mondo con cui sono stato a contatto per anni è ancora più nero. L’etica del mio lavoro consiste nel riferire le situazioni nel modo più onesto e rispettoso possibile, sapendo che è necessario toccare le emozioni del lettore. Non voglio né educare, né insegnare. Se volessi farlo, allora mi sarei dato all’insegnamento. E anche fare il giornalista è un’altra cosa. C’è una posizione di ribellione sotto la mia ironia e il mio sarcasmo, che mi sembra la base portante di tutto il mio lavoro. Credo che in qualche modo la ribellione del mio personaggio susciterà l’adesione o il rifiuto da parte del lettore. Bisogna che la gente si ribelli anche se non esiste ancora una soluzione ai problemi.
a cura di Patricia Osganian e Frank Frommer (da Mouvements n.15-16, La Découverte)



Recensioni

Pulp
Luglio-Agosto 2007

L’ispettore Katz non è un uomo rassicurante. Un uomo affascinante probabilmente, ma sicuramente non limpido. Disturbato, forse. E nel caso di un poliziotto non si può certo dire che il quadro sia molto consolante. Come non lo è, del resto, la situazione nella quale precipita. Un furto di gioielli a place Vendome, la sparizione del bottino ed una serie di doppi giochi. Equilibri malavitosi difficilmente conquistati che barcollano sotto il peso dei cadaveri che cominciano ad accatastarsi. Un labirinto disegnato a casaccio, dal quale Katz cerca di trovare una via d’uscita facendosi largo a testate. Quasi come un predestinato ormai assuefatto alle divinazioni, sfida il suo istinto e la sua reputazione, conducendo una danza macabra dall’incerto epilogo. Ma a quelli che lo circondano le cose non vanno poi tanto meglio.
Ad esempio al fratello Lantier, ispettore capo e suo superiore diretto, principe della disillusione e ormai con la mente in pensione, ad Ingrid, dalle frequentazioni equivoche e dalle ambigue abitudini, o a Diogene, killer professionista. La consapevolezza della fatica di vivere accompagna il lettore in tutte le pagine de La mossa del gatto, saltuariamente intaccata da qualche rarissimo scorcio di possibilità, da qualche debole luce che irrompe nel inchiostro nero della trama.
Senza ricorrere a trucchetti beceri, o a logori clichè Pagan continua a colpirci per le sue capacità, prima fra tutte l’abilità di usare uno standard americano, come il blues, per definire le sue atmosfere, senza sentire il bisogno di americanizzare i suoi protagonisti. L’autore continua a proporci le malinconie crepuscolari e devastate di menti abbandonate a se stesse, le storie di uomini e donne inevitabilmente vocati al precipizio con la testarda convinzione di combattere l’ineluttabile. Spacciati dal tempo e dalla vita, perdenti dalle forti ambizioni, traditi da quella stessa coerenza che sembrava essere indispensabile a mantenerli in vita.
Corrado Pipan

nonsololink.com
20 Agosto 2007

Un noir adulto, intenso, capace di soddisfare i più sottili palati del culto di genere.
È il romanzo di Hugues Pagan, algerino del 1947, trasferitosi a Parigi a vent’anni. Partecipe del Maggio francese, studente di filosofia, quindi poliziotto ispettore per molti anni, Pagan non è nuovo al romanzo.
In Italia, i suoi lavori sono stati tutti pubblicati da Meridiano zero, la casa editrice padovana specializzata in noir con un’ottima collana di genere da anni. Pagan è anche autore della nota serie televisiva Police district.
Il suo ultimo lavoro pubblicato in Italia quest’anno è del 1995. Una storia non troppo macabra, dove l’intreccio tra delitto e personalità, storie di vita e di trasgressione, criminali e brava gente è intenso. Tuttavia molto francese, lontano dai colpi di scena tipicamente americani, intessuto di dettagli che traspaiono la personalità dell’autore. Attento ai dettagli, poetico a tratti, capace di psicologia spicciola eppure filosofo nel tratteggiare i caratteri dei suoi uomini e di una donna, Ingrid Vidali, eroina a mezzo tra giornalista d’assalto e infiltrata e donna d’alto bordo a caccia di un amore ricco e potente, eppure terribilmente capace di cacciarsi nei guai.
È lei che osserva la realtà da dietro volute di canne che non sembra le ottenebrino il cervello, mentre quello di Katz sembra essere irrimediabilmente perduto. Nell’intreccio di fatti malavitosi e di personaggi più o meno loschi, Pagan ha la capacità di fare immedesimare il lettore proprio in quel poliziotto bruciato, che vive una vita sua nella misura in cui si è talmente calato dentro la realtà che ne è parte.
Egli che ha tanto sofferto la criminalità, al punto da esserne massacrato di botte e di avere perduto la famiglia, capisce il criminale, le sue mosse, la sua psicologia. Avverte il pericolo prima che esso si materializzi, spara prima che il criminale abbia deciso di sparare, ragiona come un delinquente e appartiene, ormai, al mondo delle ombre. Ogni essere umano è costituito, per l’autore, da cerchi concentrici di sofferenza e, una volta passato il limite, non c’è più alcuna differenza tra una psicologa, un ispettore e un commissario, Lantier, il fratello di Katz.
"Non si è necessariamente vivi solo perché si vuol vivere" e molte persone, come un camionista cortese, sono soltanto involucri che dormono nel sonno.
Il limite fra l’umanità perduta e quella che, forse, non si perderà è lieve, molto sottile. Così sottile che non ce ne rendiamo conto, persi nel nostro perbenismo che ci fa credere così superiori, così distanti dal resto, dalla feccia. Il romanzo di Pagan ci fa ricordare, con un incedere lento, corretto, senza strappi, senza eccessi, che, invece, tutto è caduco, affondabile, rivedibile. Niente è certo e certezza, anche noi potremmo essere Tora o Pastor, Lantier al limite della pensione e Katz che si getta nel vano delle scale a volo d’angelo. Un romanzo eccellente. Assolutamente da leggere anche per chi non è amante del genere noir, dal momento che le scene non sono scabrosamente macabre e che la trama è adatta agli amanti del giallo ben scritto.
Alessia Biasiolo

Da inserire:


Data di inserimento in catalogo: 09.04.2013.

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