Operazione Atlanta

Operazione Atlanta

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Autore: Hugues Pagan

In una Parigi bistrata e virata al nero si consuma il nuovo capolavoro di Hugues Pagan.
Una storia, quella di Operazione Atlanta, che procede per incastri successivi fino a costruire un gigantesco gioco di potere che rischia di travolgere i protagonisti. Il commissario Château, boss dell’Usine, ha messo in atto una micidiale operazione per catturare vivo o morto Berg, ex terrorista la cui ombra si allunga fra le pagine della storia come quella di un fantasma.
Ma Berg esiste o è solo il frutto maligno di una macchinazione per mescolare le carte? Quel che è certo è che Château non ha fatto i conti con i cani sciolti: Milard, detective imbevuto di dolore ma dal fenomenale fiuto investigativo che sta mettendo il naso dove non dovrebbe e Mauber, giustiziere al di fuori delle regole con un passato nei Corpi Speciali, forse l’unico in grado di stanare Berg.
Saranno loro a stringere un’imprevista alleanza che costerà cara ai registi occulti dell’operazione e che deflagrerà in un arco di spaventosa violenza nella spettacolare sequenza finale. Sempre più lirico, decadente e romantico, Hugues Pagan modella un romanzo che ha il profumo della fine del giorno e il ritmo delle foglie cadute. Il suo stile narrativo dardeggia, catturando primi piani di personaggi memorabili, illuminando fra tutti il dolce viso di un’indimenticabile e commovente Céline.


"Il sentimento che anima la maggior parte
dei miei personaggi è la rabbia.
Io cerco di mettere in scena degli uomini in rivolta."
- Hugues Pagan -



Autore

Hugues Pagan nato nel 1946 in Algeria, terra di cui conserva tuttora un ricordo abbagliante, Hugues Pagan "rientra in Francia per obbligo e vi rimane per necessità". Come molti pied noir vive un certo senso di sradicamento: un’irrequietudine che lo spinge a scelte radicali e apparentemente contraddittorie. Dagli studi filosofici all’impegno politico sulle barricate del Maggio francese, fino alla decisione, nel 1973, di entrare in polizia. Infine, a partire dal 1982, la letteratura: quasi un riflesso unitario delle proprie esperienze. Già dal primo romanzo, L’ingenuità delle opere fallite, Pagan si mostra capace di esprimere - attraverso un registro tesissimo, in funambolica sospensione tra ridondanza e asciuttezza - quell’indomita fede nel realismo che obbliga la letteratura a farsi testimonianza.


Recensioni



angolonero.blogosfere.it

20 Aprile 2009

Non si sfugge al passato. Per quanto banale possa sembrare, è vero. Non basta cambiare città, lavoro, vita: i fantasmi vanno affrontati e possibilmente uccisi.
Se ne rende conto Jacques Chevallier, giornalista di provincia un po’ sgualcito, innamorato della giovane centralinista Anita e della macchina Dizzie Mae (non necessariamente in quest’ordine) quando nella sua vita ripiomba l’ex moglie Sonia con una richiesta perentoria: ritrovare Chess, "che era come un fratello". Senza un indizio, senza una traccia se non un sostanzioso (e forse incompleto) dossier e un altrettanto sostanzioso assegno.
Ed è solo l’inizio, perché meno di 24 ore dopo arriva dal passato anche Sauvage, in forza all’Usine, a consigliare a Chevallier una vacanza.
Ora, Chevallier farebbe volentieri a meno di fare i conti con il passato, se non fosse che sul suo magro conto corrente bancario sono comparsi due consistenti versamenti da parte di un anonimo benefattore. Segno che, qualunque cosa ci sia dietro la scomparsa di Chess, Chevallier è coinvolto suo malgrado.
Prende avvio così In fondo alla notte, noir serrato e soffocante di Hugues Pagan.
Pagan è un ex poliziotto trasferito in provincia, così come Jacques Chevallier. La provincia calda e afosa come le paludi della Louisiana fa da sfondo a una storia torbida e confusa. Come in ogni noir che si rispetti, l’eroe è molto poco eroico e molto "sporco".
Il suo passato non è limpido, nel suo presente, per quanto "ripulito", ci sono conoscenze ambigue, ma soprattutto è lui che non riesce a sentirsi a posto con se stesso: "Fino a quel momento, mi ero dedicato a poche scialbe occupazioni, con la stessa tenacia di una gallina decapitata.
Un bravo ragazzo che aveva messo la testa a posto, uno che aveva fatto il suo tempo, le cui scappatelle si limitavano a un tappeto verde settimanale dove si puntavano quattro soldi, e a conquiste femminili da capoluogo di provincia, avendo come unico piacere la presenza opulenta di Dizzie Mae. Dopodiché… Credo proprio che una parte del mio vecchio mondo mi avesse riacciuffato. (…) Quando Chess sarebbe apparso, a questo punto, fra poco, non mi avrebbe preso alla sprovvista. Mi feci il primo bicchiere della serata alla sua salute, i dieci o dodici seguenti alla mia. Non riuscii a sbronzarmi". Jacques è il principale sospettato, per non dire l’unico. Se arriva in fondo alla storia, lasciandosi alle spalle una lunga scia di morti e feriti, lo fa perché è costretto, non certo per coscienza o buon cuore.
Sebbene anche a lui si adatti la descrizione dei caffè: "I caffè erano forti, morbidi e amari, come quasi tutti i protagonisti dei romanzi polizieschi classici". Ma, come si diceva all’inizio, certi fantasmi del passato devono essere affrontati e uccisi, per poter sopravvivere. Non senza una notevole dose di disillusione e alla fine, perché no, un filo di speranza.
Alessandra Buccheri


blackmailmag.com

Hugues Pagan è uno scrittore che non concede consolazione. I suoi personaggi sono ambigui, tormentati, contraddittori. Se pure hanno remore morali, rimpianti, rimorsi, niente di queste cose impedisce loro di vivere e agire sul filo di una equivocità che risulta, alla fine, affascinante.
Il giallo classico di Doyle, Christie sembra remoto, con le sue scatole a combinazione che restaurano un ordine rassicurante. Ma anche l’hard boiled classico è superato, con i suoi eroi cinici ma, alla resa dei conti, integri.
Qui non si esce dalle nebbie, né si ripristina un ordine: anzi, è proprio l’ordine, la verità ufficiale che si fa inquietante. Il personaggio è un giornalista, ex poliziotto, che si è ritirato in provincia, dove il passato lo raggiunge, sotto le spoglie di una vecchia fiamma che gli annuncia la scomparsa del suo migliore amico, coinvolto in grossi traffici.
Da quella visita la tranquillità che pensava di aver conquistato, le certezze della sua vita diventata quasi routine, a poco a poco si liquefanno. In questo libro, il primo polar pubblicato di Pagan, si ritrovano molti dei temi dello Hugues Pagan successivo (Quelli che restano, a esempio). Innanzitutto, il Jazz, l’alcool, una certa America che sappiamo essere nel cuore dei francesi. Ma, soprattutto, la corruzione del potere, l’intrinseca malvagità dell’ordine. Poliziotti peggiori dei delinquenti che dovrebbero perseguire, e con probabilità di gran lunga più alte di restare impuniti.
Non esistono buoni e cattivi o, meglio, non esiste un confine netto che separa le due cose, una divisa che garantisce che da quella parte si è al sicuro. Gli amici covano segreti che ci riguardano, i nemici, che rimangono nell’ombra, in fondo ci accordano punti di riferimento. L’eroe non è puro e senza macchia, ha frequentazioni quanto meno discutibili, vanta crediti in ambienti equivoci. I fatti sono determinati da moti browniani di interessi, passioni che si incrociano, si scontrano, si sospingono a vicenda.
Non c’è una logica, così come non può esistere la "soluzione". Cosa si troverà "in fondo alla notte"? Nessuna catarsi, nessuna nemesi. Al massimo – per alcuni – un’altra flebile chance. Il romanzo prende e sorprende, mantenendo una buona tensione dall’inizio alla fine.
Se gli si vuole trovare un difetto, probabilmente è il manierismo. Pagan forse paga un tributo troppo alto al genere ma, considerando che è il suo primo romanzo, gli si può perdonare.
Ferdinando Manzo


Bresciaoggi
19 Marzo 2009

Lo strano caso di Jacques Cavallier Pied-noir (così si chiamano i francesi nati in Algeria), ex ragazzo del Maggio ’68, ex-flic che nel 1982 lascia la divisa e si dà alla letteratura.
Hugues Pagan sarebbe stato un ospite straordinario di A qualcuno piace giallo, anche in considerazione della rassegna collaterale che il Nuovo Eden dedica a Olivier Marchal. Non a caso Pagan è autore, insieme a Marchal, della nota serie televisiva Police District. I libri di Hugues Pagan lubrificano il piacere di leggere.
Scrittura effervescente d’ironia e dal ritmo serrato, leggerezza un po’ guascona dell’esistere ma consapevole della propria maledizione, senso incombente del destino. Prendete In fondo alla notte, titolo molto céliniano (in originale Les eaux mortes), in cui il protagonista è Jacques Cavallier, un ex-agente della giudiziaria dal passato turbolento, che se ne è andato in provincia a fare il cronista per un giornale di poco conto.
Viene dato papabile alla successione del capo-redattore ormai stanco, ma lui preferirebbe passare le giornate bevendo, ascoltando vecchi dischi o andando a zonzo con Dizzie Mae, la vecchia Ford V8.
A dare una scossa al suo esilio volontario arriva la sorprendente notizia che uno sconosciuto gli versa ingenti somme sul conto bancario. A seguire si presenta una vecchia fiamma che gli comunica la scomparsa di un amico e collega, un funzionario della giudiziaria.
Il passato ha capacità di galleggiamento incredibili, non si può smaltire mai e così Jacques Cavallier è costretto a riprendere la pistola in mano. E per uno come lui che avrebbe da eccepire sull’equazione tra giustizia e legge, il rischio è grande. Si beve come una birra gelida d’estate.
Nino Dolfo


cinemadadenuncia.splinder.com
8 Aprile 2009

Giornalista non ancora quarantenne, Jacques Cavallier ha alle spalle un passato da poliziotto di spicco nella Brigata Repressione Banditismo (BRB) di Parigi. Poi un incidente di percorso gli ha fatto cambiare vita: è uscito volontariamente dall’Usine (la polizia in gergo interno) e adesso, cinque anni dopo, si ritrova a fare il cronista in un giornale di provincia.
Qualcosa di incredibilmente strano viene a turbare la sua quieta routine: da Parigi un certo Zimmer, emerito sconosciuto, ha versato sul suo conto corrente la cospicua cifra di centomila franchi. Cavallier non riesce minimamente a indovinare il motivo di tanta munificenza, ma, prima che possa trovare una spiegazione soddisfacente, si materializzano intorno a lui personaggi del passato: prima Sonia, la sua ex donna, e poi Sauvage, un suo ex collega all’Usine.
La loro improvvisa apparizione è legata alla scomparsa di Chess, amico fraterno di Cavallier che sta scompaginando i delicati equilibri dei signori del crimine. Narrazione in prima persona secca e dura, attenzione ai piccoli gesti portatori di significati opachi, romanticismo rinnegato in astratto ma carnalmente onnipresente e richiami espliciti all’immaginario noir letterario e cinematografico più puro (Chandler, Simenon, Steeman, Huston, Clouzot, Siodmak).
E inoltre una passione viscerale per il blues che permea di sé ogni capitolo. Se vi piacciono questi ingredienti (personalmente li amo alla follia), In fondo alla notte vi manderà senz’altro in sollucchero. Romanzo d’esordio dell’ex ispettore di polizia Hugues Pagan, Les eaux mortes (splendido titolo che evoca la torbida immobilità delle acque stagnanti) non è né un noir classicheggiante né un neopolar alla Manchette.
Troppo reticente e "sperimentale" per essere accostato ai classici e troppo poco sarcastico per essere avvicinato all’autore de Il caso N’Gustro e Piovono morti. Ma si colloca esattamente e instabilmente tra i due poli, oscillando ora da una parte ora dall’altra.
Per raccontare la storia di Jacques "l’Anguilla" Cavallier, Pagan adotta una prospettiva rigorosamente soggettiva, senza mai abbandonare il suo disincantato protagonista, che tra un articolo di cronaca per il Liberté e la focosa relazione sentimentale con la ventenne Anita, di cui si innamora perdutamente, si trova coinvolto in un affaire decisamente pericoloso: versamenti di preoccupante generosità, attentati automobilistici, traffici internazionali di droga, esecuzioni da professionisti…
Gelosamente affezionato alla sua Dizzie Mae (una Ford V8 acquistata a un’asta pubblica), Cavallier è un personaggio tra il Philip Marlowe de Il grande sonno e il Sam Spade de Il falcone maltese, ma con una vocazione al fallimento e una tendenza al masochismo assolutamente fuori parametro (quaranta sigarette al giorno, alcool trangugiato in ogni occasione e inconsulti attacchi di apatia nell’occhio del ciclone). Non a caso la sua situazione a un certo punto gli fa venire in mente Ole Anderson, il protagonista del racconto di Hemingway The Killers (adattato cinematograficamente da Siodmak) "che aspettava i killer senza muoversi dal suo letto". In questo condensato di disfattismo e disillusione lampeggiano tuttavia un vitalismo malgrado tutto e un’energia fisica letteralmente commoventi.
L’acutezza dello sguardo di Cavallier, amplificata dalla scrittura enfatica ma senza tic di Pagan, coglie segni, segnali e frammenti significativi con allucinata lucidità, come se non potesse impedirsi di costruire ipotesi vagamente paranoiche. È lui il primo a dubitare delle proprie idee, che si impongono alla sua coscienza come disegni manipolatori o teorie da incubo: si sorprende più volte a inveire contro se stesso per aver creduto di capire ("Il grande piano era solo nella mia testa, la mia testa malata, non la sua").
Orientarsi in una trama così prepotentemente soggettiva e così scopertamente congetturale non è affatto pacifico: Pagan ci costringe a condividere la friabilità delle ipotesi di Cavallier, senza peraltro propinarci uno scioglimento totalmente esplicativo, obbligandoci spesso a rileggere pagine passate e a cooperare alla ricostruzione degli eventi. Non tutto si ricompatta e qualche nesso rimane oscuro, ma è forse questo il maggior punto di forza di In fondo alla notte: il ritratto di un individuo accerchiato dal Male senza altra bussola se non un tenace, coriaceo desiderio di fuga.
"Noi, che a modo nostro, inseguivamo un sogno premonitore di felicità, prossimo alla morte". Da leggere tassativamente ascoltando Live in Paris di Nina Simone.
Alessandro Baratti


Corriere della Sera
11 Aprile 2009

Hugues Pagan, il noir è vivo

C’ è chi dice che il noir sia morto. Di certo non lo è per Hugues Pagan che nel suo In fondo alla notte (Meridiano Zero) resuscita tutti i topoi del genere: le atmosfere cupe, dense di fumo e cariche di pioggia della provincia francese, un eroe solitario dal futuro senza aspettative e dal passato non immacolato (Jacques Cavallier è un ex flic diventato giornalista), una donna bella troppo giovane e passionale che (forse) lo salverà ("Tu sei il secondo. Il primo non conta" gli dice), notti livide seguite da mattine esangui rivitalizzate da caffè senza zucchero e ancora un’ altra Gauloise.
E poi soldi, troppi, che qualcuno accredita sul conto del protagonista nel più classico dei depistaggi, tradimenti, killer e citazioni d’ autore.
Compare anche Chess, amico, fratello, poliziotto in bilico tra bene e male, protagonista di una trilogia dello scrittore già uscita in Italia sempre da Meridiano Zero.
Il tocco di Pagan nelle ambientazioni è unico.
Cristina Taglietti


Film TV
29 Marzo 2009

Il sole non è per loro

Il migliore amico di Mat, poliziotto della Brigata Criminale, è un bandito. E gli propone un colpo facile, sicuro, pulito. Finisce come deve finire: male. Mat è Gérard Depardieu, l’amico è Olivier Marchal, regista, a volte attore. Il film si intitola Diamant 13, lo dirige Gilles Béhat (Marchal sceneggia), per ora è inedito in Italia.
Ci interessa perché è tratto da un classico del polar, Dead End Blues di Hugues Pagan, editro in Italia da Meridiano zero.
Personaggio tragico Pagan, come solo il poliziotto francese sa regalare, sempre al confine tra realtà e immaginario, gloria e abisso. Ex poliziotto nato in Algeria (come spesso i protagonisti dei suoi libri), denunciò la corruzione del dipartimento e fu costretto ad andarsene, per evitare le ritorsioni dei colleghi.
La sua esperienza è diventata letteratura, vicina, per ispirazione e stile, a quella di Derek Raymond, in Francia più noto con il nome originale di Robin Cook. Non a caso al centro delle sue storie c’è un’Usine (la questura), come nella Londra di Raymond una Factory. Non fa eccezione In fondo alla notte, esordio dello scrittore solo ora pubblicato da noi, ottimamente tradotto da Valeria Caredda.
Ex poliziotto sulla cinquantina, Jacques Cavallier ha lasciato in fretta e furia il 36 Quai des Orfèvres e si è rifatto una vita in provincia, improvvisandosi cronista per un quotidiano locale. Una strepitosa fanciulla, Anita, si innamora di lui e se lo mangia sessualmente vivo, ma la felicità ha il suo prezzo, e presto chiede il conto.
Come in Dead End Blues, è un vecchio amico a tramare nell’ombra, e Jacques si trova catapultato in un intrigo nero come la notte senza sapere perché. Viene accusato di omicidio, qualcuno gli "regala" trecentomila franchi, lo picchiano, gli sparano addosso, lo arrestano, sullo sfondo del peggior tradimento che si possa immaginare.
Viene in mente James Woods davanti a Robert De Niro alla fine di C’era una volta in America: "Io ho rubato la tua vita, Noodles". Cavallier conosce le regole del gioco, e non si illude più di tanto: "Ero soltanto quel ’riverbero di ricordi’ di cui parlava Céline, all’angolo di una strada in cui non passava più nessuno".
Mitologia del fallimento e tradizione del polar al cento per cento.
Questo promette Hugues Pagan e questo mantengono i suoi libri.
Mauro Gervasini


Film TV

In fondo alla notte di Hugues Pagan: romanzo d’esordio dell’ex ispettore di polizia Hugues Pagan, Les eaux mortes (splendido titolo che evoca la torbida immobilità delle acque stagnanti) è un noir in prima persona che si colloca tra la tradizione hard-boiled e il neopolar alla Manchette.
Joseba


L’Indice

Protagonista di questo noir di Hugues Pagan, ambientato tra Parigi e un’imprecisata località della provincia francese, è Jacques Cavallier, ex poliziotto con alle spalle un’infanzia difficile (segnata dalla precoce scoperta della violenza ad Algeri) e un passato da dimenticare, convertito al giornalismo in seguito a un processo per omicidio colposo, conclusosi con una discutibile sentenza di proscioglimento.
Apparentemente "pulito" e fuori da qualsiasi giro (malavitoso o poliziesco), Cavallier finisce a quarant’anni sotto inchiesta per una trappola ordita alle sue spalle da un’oscura e potentissima organizzazione criminale dedita al traffico di droga in cui pare essere coinvolto il suo ex amico e collega Chess.
Sorvegliato dalla polizia e dai gangster, l’uomo cerca quindi di risalire agli artefici del complotto per provare la propria innocenza e contribuire a far affiorare la verità. Romanzo cinico, che evita il facile trionfo delle forze del bene sul male, In fondo alla notte non priva tuttavia il lettore di una sfilza di confortanti luoghi comuni: l’ex poliziotto colto, amante della letteratura e dei gialli e profondamente disilluso nei confronti della giustizia, la giovane e avvenente sgualdrina che cambia vita per amore, l’ispettore solitario e di sanissimi principi che persegue il proprio dovere malgrado il marciume che lo circonda.
A Hugues Pagan bisogna senz’altro riconoscere una certa abilità nel caratterizzare i personaggi e dipingere gli ambienti. Ma al grande senso visivo fa da contraltare un’inutile semplificazione dei sentimenti e qualche incertezza nella descrizione dei personaggi negativi, presenze fantasmatiche di cui si avverte l’eccessiva assenza.
Luigia Pattano


scritture.blog.kataweb.it
26 Marzo 2009

Une delle provincie di Francia, una delle tante, non importa il nome, cielo di piombo e vite solitarie, trascinate fra tabacco, alcol e solitudine. D’un tratto questo luogo-non luogo si trasforma: deve vedersela con una serie di storie che potremmo definire americane.
Azione, intrighi, colpi di scena. Vicende che partono da una presunta scomparsa e che portano scompiglio fra i personaggi, coinvolgendoli in traffici di droga, antichi rancori e questioni, quelle universali, che hanno a che fare con l’amore: un tipo amore di quelli che affrontano e vincono di tutto (o quasi). Un tipo di amore che potrebbe farsi appiglio di speranza.
Il nuovo intensissimo romanzo di Pagan, In fondo alla notte, fa male alla vista per quanto riesce a infiltrarsi nella mente, in modo sottile e sorprendente, trapassa e ci coinvolge.
Sappiamo che son bombe non sempre a orologeria; sono delle stanze ghiacciate offerte da uno scrittore che ci da quello che vogliamo in termini di brividi. Si è, dunque, nella provincia francese agli inizi, provincia descritta in modo più cupo e angoscioso, anche paragonandola alle classiche ambientazioni di Simenon e resa molto più importante e simbolica dalla presenza di personaggi in cerca di niente. Figure dolenti, piegate. Tanto per cominciare, il protagonista Cavallier. Lui, ex poliziotto che fece fuori un altro uomo ed è impregnato di un passato non pulitissimo non pulito che non gli si scrolla di dosso, ora fa il giornalista: da nulla, ormai, vorrebbe modificare o lasciar sconvolgere la sua vita, tira a campare facendo i conti con le ombre e gli incubi con cui gli tocca convivere.
Ma qualcuno, tanto per iniziare a fare rumore, gli regala soldi che non aspettava e da quel momento niente sarà più come prima. Una donna, una giovane procace collega, diventa fondamentale nella vita di Cavallier ma entrano in campo così tanti altri elementi narrativi inaspettati, personaggi e colpi di scena che la magia di questo amore che nasce viene diluita, gli eventi paiono quasi rendere vana la lieta novella di una passione intensissima. Qualcuno è voglioso d’incastrare Cavallier. Pagan crea una trama che in certi momenti disorienta, eppure stupisce e raggiunge la destinazione voluta. Le vite che l’autore francese sa far vivere sono alimentate da bellezze che definiscono caratteri e volontà, poi legate a dialoghi che chiudono il cerchio della narrazione per aprire le pagine della storia.
La scrittura scelta da Hugues Pagan è di quelle che non lasciano tracce equivoche. Chiara e feroce. Veloce e affilata, un insetto che pizzica e pressa sulla pelle. Inoltre, tra le cose apparentemente in ombra, Pagan narra con coraggio di corruzione nella polizia. Far luce ed evidenziare certi elementi fa sempre bene, e queste tracce sporche emergono piano, rispettando rigorosi tempi che conferiscono pathos al ritmo narrativo.
Il romanzo è equilibrato, nel suo equilibrio si fa forte e diventa di grande valore. È un libro sui perdenti. Perché quando rende al massimo è di perdenti che narra questo scrittore.
L’autore dell’indimenticato, meraviglioso Dead end blues, sempre pubblicato in Italia da Meridiano Zero. Uomini e donne come tristi automi fra memorie distrutte, nostalgie, rimpianti feroci e gente sperduta, fra tradimenti e possibili colpi alla schiena che non si sa da che parte arriveranno, da che parte faranno sanguinare il cuore e lasceranno cicatrici nella pelle. Probabilmente dalla parte meno attesa, da quella inaspettata (se ancora qualcosa ci si aspetta, quando si è eroso, logorato, divorato tutto).
Un libro di molti anni fa pubblicato solo adesso, ancora attualissimo, emozionante, che non si nasconde, che osa, che si schiera senza remore e timori con chi ha fallito, che spiega come i confini fra bene e male siano impercettibili, minuscoli chiaroscuri, linee sparse di detriti, di spazzatura, di lacrime e sangue che non restano mai nello stesso posto.
Francesca Mazzucato e Nunzio Festa


macademia.it
26 Marzo 2009

Comincia da oggi, su questo sito, una nuova rubrica intitolata, inequivocabilmente, "Recensioni".
L’onore dell’inauguazione spetta a Hugues Pagan con il suo In fondo alla notte. Buona lettura.
C’è un tratto che distingue la "buona scrittura" dalla scrittura: la capacità di gestire le parole, di farle risuonare dentro il lettore e di raccontare, contemporaneamente, anche storie molto diverse fra loro. Ellery Queen – pseudonimo dei due cugini statunitensi Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee – riusciva a inserire nei propri testi elementi sempre diversi e spiazzanti. Ne L’origine del male, del 1951, Ellery stesso – nudo ma con sandali messicani ai piedi – descrive con minuzia di particolari la vittima che ha davanti agli occhi.
Ogni termine è scelto con cura e l’illusione che quest’ultima sia una donna crolla solo quando il protagonista – con la semplice frase "Povera Hollywood!" – ci rivela che, in realtà, sta semplicemente rimirando la città dove ambienterà il suo prossimo romanzo.
Hugues Pagan, fra le tante, ha perfettamente imparato anche la lezione di Ellery Queen. Non a caso, la prima descrizione femminile che ci riserva, a pagina 8 del romanzo In fondo alla notte, è quella di Dizzi Mae.
 Analogo gioco ma differente protagonista: Dizzi Mae, infatti, è un’automobile. Ma ce ne accorgiamo solo dopo tre capoversi. Giochi di parole e riferimenti classici – e meno classici – sono solo due caratteristiche di quest’opera che non fa della sola competenza letteraria il proprio punto di forza. Anzi, da questa – innegabile – trae forza per raccontare una storia scomoda, nera e "vera" che riesce ad avvincere e a conquistare il lettore. Per chi ama il genere – e conosce l’ex poliziotto Pagan e i suoi precedenti lavori – alcuni punti della trama possono non destare troppa sorpresa. Ma non è un aspetto importante. Anzi, paradossalmente, la mancata ricerca dell’effetto "a ogni costo" o dell’improbabile e continuo colpo di scena – per quanto non ne manchino sicuramente – è più un pregio che una mancanza. Le vicissitudini di Jacques Cavallier, anche lui ex poliziotto, si svolgono in un crescendo continuo di complessità e di consapevolezza. In una giostra vorticosa e incalzante di incontri, scontri e confronti sottolineati da un linguaggio duro e al contempo lirico.
Un linguaggio composto da frasi brevi e asciutte in grado di dare il senso stesso del "male" che circonda ogni essere vivente e dal quale la maggior parte delle persone che hanno deciso di affrontarlo, poi, non possono più sottrarsi. Ha perfettamente ragione – dal mio punto di vista – Valerio Evangelisti quando di questo stesso libro dice: "Una bella lezione per gli autori di noir italiani". Ma personalmente ritengo che per molti sia un esempio troppo difficile da seguire: Pagan parla di Cavallier ma racconta le proprie – vissute – esperienze.
Si illude e disillude con il proprio protagonista perché entrambi conoscono qualche cosa della vita che a molti di noi sfugge. Beve con lui alla nostra salute e ci sorride elargendoci, senza supponenza, qualche stralcio di una verità altra che possiamo solo supporre che esista. E che spesso neanche vorremmo conoscere.
A metà fra il poliziotto e il romanziere, a metà fra la finzione e la realtà, Pagan e In fondo alla notte ci sanno colpire in pieno stomaco senza stordirci. Sanno esattamente quali sono le illusioni che ci costruiamo per vivere e su quelle stesse illusioni giocano.
E non solo con le "belle parole".
Fabio Fracas


milanonera.com
23 Luglio 2009

Jacques Cavallier è un ex poliziotto, con incarico alla Brigata Repressione Banditismo.
Ha lasciato l’Usine (come viene chiamata la stessa polizia da chi vi lavora) e ora, cinque anni dopo, si guadagna la vita come reporter di un quotidiano di provincia.
Scopre che da Parigi uno sconosciuto, tale Zimmer, gli versa periodicamente sul conto corrente cifre da capogiro. Il tempo di chiedersi il motivo di tanta munificenza e il passato gli sbatte addosso con tutto il suo odore di vecchio. Prima Sonia, la sua ex moglie, gli chiede di cercare Chess, un loro vecchio amico comune scomparso misteriosamente. Poi Sauvage, suo ex collega in polizia. Cavallier avrebbe altro a cui pensare. Anita, ad esempio. Ventenne di cui si innamora follemente (e altrettanto follemente ricambiato).
Oppure Dizzie Mae, una Ford V8 a cui è attaccato come un marito geloso. Ma poiché la sua vita prende decisioni senza consultarlo, Cavallier si trova invischiato in giri sempre più pericolosi, che s’attorcigliano tra incidenti d’auto, attentati, sparatorie, aggressioni, traffici di droga. In fondo alla notte è un romanzo magnifico, tanto quanto memorabile suona il suo titolo in originale (Les eaux mortes, che forse poteva essere conservato nella traduzione dei tipi di Meridiano Zero per quella sua capacità intima di far apparire l’immagine delle acque stagnanti, ferme, immobili, ma pur sempre liquide).
Poche balle: Pagan, lui stesso ex ispettore di polizia (abbandonata dopo aver denunciato la corruzione di un intero dipartimento), pied noir (come gli autoctoni chiamavano con disprezzo i francesi d’Algeria), cuore caldo nel maggio sessantottino, ha costruito un personaggio che, incontrando casualmente per strada Philippe Marlowe e Sam Spade (peraltro citati nel libro) si ritroverebbe con loro dentro i fumi di un locale a buttar giù qualcosa di molto forte. Ma, se Chandler e Hammett sono dei punti di riferimento, non meno familiare è il nome di Derek Raymond (e il suo sergente senza nome della A14, sezione delitti irrisolti), non fosse altro per quella inclinazione di Cavallier di camminare costantemente fuori direzione, sempre in bilico tra fallimento esistenziale e vitalismo che si alimenta a suon di nervi esplosi.
La sua disillusione trova spazio a ogni spuntar del giorno, ma fa sempre i conti con reazioni di allucinata lucidità, come se il profilo "certezze zero" fosse né più né meno che un naturale marchio esistenziale cui non necessariamente abbandonarsi supini. Il passato che bussa di nuovo alla porta e che scopriamo già seduto in salotto anche quando ci impegniamo a non farlo più entrare, la propria storia che torna a farci fare cose che mai e poi mai avremmo pensato di fare, atmosfera drogata da Gauloises come acqua quando piove, alcol che scende quasi per necessità, assenza di proiezioni future e, quel che più ci rende precario l’equilibrio, maree di dubbi sul presente: il catalogo è per spiriti forti. La capacità del noir francese di dare una maschera tragica al povero Cristo che si sceglie quale protagonista è in Hugues Pagan ai suoi massimi livelli.
Lo stesso idem sentire dell’immenso maestro Jean-Claude Izzo e dell’altrettanto magnifico André Héléna. E senza neanche giocare in casa ambientando la storia a Parigi, una delle eccellenze in fatto di città noir. Ma nella provincia francese, sporca e ammanettata dal caldo.
Che però, se riusciamo a essere onesti con noi stessi, ci offre ancora un’ultima chance per sopravvivere.
Corrado Ori Tanzi


nonsololink.com
16 Marzo 2009

Di nuovo Hugues Pagan. Avere un suo noir tra le mani è sempre una gioia. Si legge come un romanzo, uno spaccato di vita, una commedia dei paradossi e delle genialità, eppure ha la cadenza altalenante del thriller, non ti accorgi nemmeno di quanto diventino pregnanti le sue parole.
Chi legge Pagan ne è rapito e la dolcezza delle sue parentesi, accattivano pur senza entrare nella suspance classica. Le frasi cadono come accette e si centuplicano in paesaggi, dando al lettore quel quid di personale, del lettore e dell’autore, che generano un mix unico e indimenticabile.
"Passava inosservata quanto una donna di facili costumi a un’asta di beneficenza".
Protagonista della vita di un cronista ex poliziotto invischiato in una storia che non capisce (o che meglio non viene data capire al lettore) è Dizzie Mae, un’automobile. Poi, lui, Jacques Cavallier, Cav per gli amici, si innamora di Anita, ma Dizzie Mae lo connota più di un identikit lo stesso.
Precisa l’analisi di un gruppo di bulletti di periferia: "Cresciuti troppo in fretta in un mondo senza tenerezza, fra le crepe di cemento, fastidiosi come un mal di denti".
Il genere non fa mai dimenticare a Pagan quel tocco poetico che si ritrova spesso nelle sue opere "… il sole non aveva ancora asciugato le lacrime della notte sulle foglie e sull’erba…" e la scelta non è la classica pinza di molti giallisti di fama.
Hugues sceglie un tono da analista della vita, ex poliziotto davvero che non ha dimenticato, nel disincanto della professione, che attorno le esiste una vita comunque più reale ancora della quinta poliziesca: "Sì, commissario, ho dei rimpianti. Ogni giorno, li ho… Solo che, dai e ridai, si finisce per scoprire di sé qualcosa che non si dovrebbe… l’altra faccia della luna che ciascuno tiene nascosta chissà dove… sì, ogni uomo ha il suo limite, la sua linea di frattura… un giorno magari lei raggiungerà la sua… a volte, ci si rende conto soltanto dopo… molto dopo, quando è troppo tardi. E allora capirà che è sempre stato troppo tardi…".
Macigni di filosofia di vita tratti dalla strada, dalla saggezza comune, dal vivere l’incubo di un proiettile che ha sforacchiato Dizzie Mae e non te, almeno per stavolta. E frugando tra una barca a vela e un amore assoluto come quello per Anita, ricambiato, il lettore vuole sapere dove conduce la notte, chi è l’autore dei versamenti da duecentomila franchi sul conto di Cav. È vero che vogliono incastrarlo? È vero che lui è pulito? O è tornato nel giro, come pensano i poliziotti suoi ex colleghi? Quale giro, poi? Gli avvertimenti si moltiplicano, mentre Cav non ha voglia di lottare, o almeno non più.
La nausea e l’assenza catatonica si avvertono pagina per pagina, mentre la vita continua a scorrere tra un’occupazione e l’altra. Proprio come nelle vite reali. E allora, alla fine, cosa c’è che non va? Che la verità non si saprà mai? Ad esempio se Fabre aveva ragione o no?
Il romanzo finisce bene, malgrado un’operazione al limite della vita, e la coppia Jacques e Anita prenderà il largo in barca. Ci viene dato a sapere, anche in questo caso non senza un po’ di mistero, che Anita aspetta un bambino e, con lui, un po’ di serenità. Ma ci sarà, poi, serenità?
Un ottimo romanzo ancora per i tipi Meridiano Zero.
E, essendo l’ultimo per ora, di certo di Pagan il migliore.
Alessia Biasiolo


nonsolonoir.blogspot.com
19 Febbraio 2009

Jacques Cavallier, quarantacinquenne ex-agente della giudiziaria, un passato da dimenticare alle spalle, ha lasciato la polizia e si è imposto l’esilio in provincia. Qui passa le giornate scrivendo articoli di poco conto per un modesto quotidiano, e le nottate ascoltando vecchi LP della "Sun Records", andando in giro sulla sua vistosa Ford V8 e scolando bottiglie.
I colleghi del giornale già lo danno favorito tra i possibili successori dello stanco caporedattore Tellier; poi, un giorno, le ombre lunghe di un torbido passato, un passato da poliziotto di città dal grilletto facile e dalla dubbia moralità, offuscano la sua tranquilla esistenza da giornalista di provincia. Una serie di ingenti versamenti bancari effettuati da uno sconosciuto, l’intempestiva visita di una vecchia fiamma e di un ex-collega, la scomparsa del vecchio Chess, ex-funzionario della giudiziaria, e un attentato ai suoi danni richiamano Cavallier all’azione, ma alla fine, a dargli la forza di riesumare l’automatica dal fondo di un cassetto, sarà l’amore per la bionda ventenne Anita…
In fondo alla notte, romanzo brevissimo, intenso e odoroso di polvere da sparo (senza per questo risultare pirotecnico nel senso spettacolare, fantastico e anti-realistico del termine) che mantiene, a dispetto di una visibile sproporzione tra l’avvio e lo scioglimento(1), un andamento ultra-serrato e inesorabile, erige la reticenza a sistema.
La narrazione in prima persona, fortemente interiore, retta più da un rimuginare continuo su un passato non detto, che su una chiara analisi del presente(2), rende la vicenda quasi impenetrabile fino alle ultime battute; il lettore, allo scuro della maggior parte dei fatti, non può che seguire il protagonista nelle sue incerte interpretazioni fino allo scioglimento finale.
I retroterra politici "suggeriti" e mai "dichiarati", la corruzione e la tendenza al compromesso diffuse all’interno degli organi di polizia, abbozzate con pochi tratti, la dolente evocazione della tensione tra istinto e senso del dovere da parte di un personaggio che, una volta, in un passato remoto ma non sepolto, ha ceduto alla tentazione di "fare giustizia" piuttosto che "tutelare la legge", completano un romanzo misuratissimo e stilisticamente perfetto. Lasciamo che siano gli altri ad istituire facili paragoni tra l’esperienza dell’autore come ispettore della polizia parigina e la visione disincantata del mondo(3) espressa nei suoi romanzi; ormai sappiamo che il realismo letterario è frutto di uno sguardo particolare, non il risultato prevedibile a priori di una serie di eventi personalmente vissuti, e poi Pagan non ha bisogno di espedienti di questo tipo: i suoi intrecci e la sua prosa parlano per lui.
Fabrizio Fulio-Bragoni

(1)Le minacce fisiche ai danni di Cavallier iniziano piuttosto tardi e le scene di azione propriamente dette occupano uno spazio relativamente ridotto, eppure fin dalla prima visita del protagonista in banca, fin da quel "Martin non mi credeva. Il boccone da mandare giù era aspro come il fumo di quella sigaretta. La prima dopo quindici mesi." (H. Pagan, In fondo alla notte, Meridiano Zero), il lettore sa che il personaggio si trova sull’orlo del baratro; anzi, è proprio l’aria da catastrofe imminente che si respira, inspiegabilmente, fin dalle prime pagine, a conferire a In fondo alla notte gran parte del suo fascino da noir neo-classico.
2)Che il lettore non si aspetti dei chiarimenti nel senso classico del termine, neppure sul finale (anche se l’autore non sa resistere a una piccola ricostruzione operata con le informazioni parziali reperite dal bonario Fabre): Pagan non fa sconti, e il suo protagonista non si sbottona mai. (3)Anche perché, ridurre il lavoro di un autore come Pagan ad una semplice ri-sistemazione della realtà equivarrebbe ad annullare completamente la dimensione meta-narrativa dei suoi romanzi (all’interno della quale il protagonista-lettore intradiegetico appare come versione realizzata del lettore extradiegetico: mentre questo si limita a fruire passivamente dell’opera d’arte, il protagonista modella la propria intera esistenza su basi letterarie), il suo gusto per la citazione, a trascurare la sua cultura letteraria, cinematografica e musicale.


olivero.blogautore.repubblica.it
9 Febbraio 2009

Eroi pochi, anzi uno solo e male in arnese. Ex poliziotto, come l’autore che se l’è inventato. Ora giornalista e così si mettono insieme due categorie che vanno bene per tutto. Sigarette, vecchi amori alla Bogart e nuovi amori senza futuro. Vecchi rimorsi e conti da saldare. Vecchi amici che tornano per dare un consiglio e altri che tornano per portare guai. Killer e mandanti. Una macchina che ha un nome da diva, Dizzie Mae. Una Ford, non una V6, nossignore, una Ford V8.
Luoghi comuni, linguaggio alla Marlowe, stereotipi da vecchio noir. E allora vediamone un po’ di questi luoghi comuni che ci piacciono tanto, anche se sono barocchi, soprattutto se vengono usati con un fondo di amara ironia.
ù"Conoscevo a menadito tutta la filmografia di Walsh e di Houston, i componenti delle orchestre che avevano imperversato al Cotton Club, nonché quelli di tutte le formazioni di Duke Ellington e di Stan Kenton. E il pedigree completo di un centinaio di elementi schedati nell’archivio della malavita organizzata".
"Di sfuggita, lo specchio del bar rifletté la nostra immagine. Io avevo un’aria fosca e sfinita, ma non lo facevo apposta a sembrare un duro appena uscito da un libro di W.R. Burnett e lei di certo non si sforzava di assomigliare alla ragazza della pubblicità della Coca Cola".
"C’erano giornate – no annate – in cui sarebbe stato meglio restarsene a letto".
"Avevo troppa paura. A dire il vero, ne avevo sempre avuta, la vita mi aveva programmato a temere sempre il peggio e la via era ormai segnata". Bentornati nel mondo di Hugues Pagan, pied noir, ex flic, filosofo, scrittore di storie polar, eterno arrabbiato che usa il noir per quello che serve: parlare male, il peggio possibile di quello che gli uomini riescono a farsi senza imparare nulla. Sembra di leggere di Sam Spade, ma Pagan stesso sembra sentire e rispondere a un certo punto: "Mister Archer… Spade è l’altro, quello che vince. Io sono Archer".
Dario Olivero


scanner.it
29 Giugno 2009

La narrativa noir francese è sempre stata una fucina di talenti inesauribile nel tempo, e uno dei nomi di punta dell’attuale panorama è sicuramente Hugues Pagan. In questo suo romanzo d’esordio, si parte da una livida provincia francese, con un manipolo di personaggi che vivono come ombre. Jacques Cavallier è un ex sbirro con un passato da dimenticare e una scia di sangue che lo perseguita anche nella sua nuova carriera di giornalista. Anita è il suo amore e sembra donargli una seconda possibilità. Ma qualcosa infrangere il suo presente: Jacques inizia a ricevere periodicamente dei versamenti di denaro da sconosciuti, e successivamente si accorge di essere pedinato e diventa inconsapevolmente l’obiettivo di un killer.
Il suo vecchio compagno Chess è invischiato in un affare di droga dalle enormi proporzioni ed è scomparso. Jacques diventa il bersaglio involontario delle indagini della polizia, che cerca di sapere da lui cose che non è a conoscenza e il suo ignorare i fatti lo metteranno con le spalle al muro.
Una storia dove le prospettive si sommano, nutrendosi di sfumature e spingendo i protagonisti verso una strada lastricata di violenza, dove il confine tra il bene e il male è labile.
Pagan usa un linguaggio diretto e tagliente come una lama da rasoio e affonda i suoi bisturi come un abile chirurgo nelle piaghe caratteriali dei personaggi per dipanarsi lungo i corridori della storia con dialoghi circolari nelle sue funzioni di svelare corruzione e sporcizia morrale. Un noir rigorosamente compiuto, dosato su un ritmo narrativo che diventa canto disperato sui perdenti, che vivono questo romanzo come schiacciati da memorie ingombranti e rimpianti profondi.
Anche se è un libro di anni fa, e solo ora disponibile in Italia, trova la sua attualità nel fallimento dei protagonisti, lesi da una verità che si adombra e trova zone charoscure senza lasciare nessuna traccia, se non una orma umana persa nelle sue tribolazioni.
Matteo Merli


senzaunadestinazione.blogspot.com
8 Gennaio 2010

Hugues Pagan è la radice del noir.
È la ricerca di un riscatto quasi obbligatorio, con la svogliatezza di chi assolve un compito che gli è imposto dall’esistenza. I suoi personaggi sono forzatamente relegati ai loro ruoli e spazi: al turno di notte, alla consapevolezza di un miglioramento impossibile, a un passato da cui doversi difendere per sempre.
Donne private di ogni emotività femminile, uomini mentalmente randagi. Il desiderio di giustizia che sopravvive in questi scenari, è qualcosa che deve essere capito ancora prima che osservato. Va cercato nei caratteri schivi, nell’apparente rassegnazione, nella scelta di muoversi al di fuori di quella che dovrebbe essere la vera legalità, ma che nel ribaltamento delle visioni che caratterizza Pagan, spesso è la negazione di ogni falsità e corruzione. Quella da cui lui stesso è fuggito quando ha abbandonato il suo impiego nella polizia francese, denunciandone gli abusi e l’illegalità dilagante. Condannandosi a rappresentare scenari claustrofobici, torbidi, scuri.
Come in Dead End Blues (Meridiano zero), da cui è stato tratto il film Diamond 13 interpretato da Gerard Depardieu e Asia Argento, dove Mat, poliziotto parigino, scopre che il suo ex collega e amico è diventato uno dei più grossi trafficanti di droga del paese.
Oppure in La notte che ho lasciato Alex (Meridiano zero), tra i suoi più belli, con il suicidio apparente di un senatore e l’ispettore Chess che indaga pur relegato al turno di notte.
Chess torna tra tradimenti, compromessi forzati e crudeltà in Quelli che restano (Meridiano zero), l’ultimo romanzo pubblicato in Italia, mentre con In fondo alla notte (Meridiano zero) si cambia protagonista e scenario: un ex poliziotto diventato giornalista e la provincia francese, notturna e cupa forse più della città. I suoi titoli sono anche altri, in una produzione che sembra raccontare una storia che si ripete, che ci trasmette un clima vero e sotterraneo, e che mostra le tante derive di chi sceglie di non stare mai dalla parte dei buoni.
Paola Pioppi


sugarpulp.it
19 Giugno 2009

In fondo alla notte (Meridiano Zero) è stato pubblicato in Francia nel 1986, ed è una delle opere di maggior interesse di Hugues Pagan, autore di altri romanzi dello stesso tenore e della serie televisiva Police District di Olivier Marchal (per intenderci, l’autore del mai troppo lodato 36 Quai des Orfevres, uno dei migliori polar degli ultimi anni).
Il titolo originale, tuttavia, Les eaux mortes, rende forse maggior giustizia all’atmosfera livida e apparentemente statica del romanzo. Il passato affiora cautamente, nella vita di Jacques Cavallier, paparazzo di mezza età che è stato per lungo tempo un poliziotto: ora latita in un paesino della provincia francese, trascorrendo le sue giornate fra assai poco gratificanti servizi giornalistici, una costante ebbrezza dovuta a un gusto spiccato per i liquori, e scarrozzate senza meta con una Ford d’annata, ribattezzata Dizzie Mae.
Tutto sembra privo d’interesse, ma sin dalle prime pagine, due eventi sconvolgono, invece, la sua vita che, ogni tanto, si tinge di rosso, o del nero oscuro di trame limacciose. La prima è l’amore maturo e fervido con la prorompente Anita, di vent’anni più giovane di lui, che fa la segretaria nel suo stesso rotocalco; l’altra è rappresentata da una serie di versamenti, di cifre molto consistenti, presso il suo conto corrente, e dei quali non si sa dare spiegazione. In fondo alla notte è solo in apparenza un libro di genere: il suo stile rapido e scanzonato è la facciata di un romanziere che sa parlare d’altro, sa citare (addirittura, esplicito il riferimento al film I gangster di Siodmak, a sua volta trasposizione di un racconto noir di Hemingway) e dissemina la sua prosa di situazioni e di dialoghi che tentano di sbrogliare la matassa della trama, ma, man mano che si scende in profondità, la complica e costringe il lettore a cogliere invece qualcos’altro: la solitudine interiore del protagonista, i suoi gusti, le sue riflessioni (il libro è in prima persona) che paiono venire in maniera nemmeno filtrata dalla stessa vita dello scrittore, anche lui, per molti anni, poliziotto all’Usine, la polizia cittadina d’Oltralpe.
I personaggi non scadono mai nel bozzetto, complice una capacità stringata di cogliere e rendere le sfumature delle varie figure che Cavallier incontra sulla sua strada, ognuna, a sua modo "un morto che cammina". C’è, di fondo, una visione estremamente fatalista, esistenziale delle azioni dell’essere umano. La quale non subentra mai alla narrazione, né tende a sostituirsi ad essa, di modo che l’autore sa regalarci ottime sequenze d’azione (come l’attentato a Jacques o l’assurdo incidente che sembra momentaneamente risolvere il romanzo) non negando il risvolto, forse appena melodrammatico, dei sentimenti che il protagonista prova nei confronti della sua donna, o dell’amico che, ad un certo punto, pare essere la chiave di volta di tutta la vicenda, e che viene chiamato, simbolicamente, Chess.
Tutto questo guizzando celere e umbratile da momenti di appassionato rilassamento, sorseggiando del bourbon sotto le note di Duke Ellington, o gettandosi a capofitto in una lotta serrata con un altro uomo, sperando che nessuno dei due debba rimetterci l’unica cosa che conti, la sopravvivenza sempre in bilico fra una felicità incerta e una disperazione di cui non ci si rende neppure conto.

Da inserire:

    ISBN: 978-88-8237-218-7
    Pagine: 253 
    Brossura con bandelle
    Formato: 15x20 cm
    Data di pubblicazione: Maggio 2010
    Tutti i libri dell' autore: Hugues Pagan

Data di inserimento in catalogo: 09.04.2013.

Meridiano Zero. Via Carlo Marx 21, 06012 Città di Castello (PG)
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