Autore: Miles Gibson
L’Uomo della Sabbia, colui che dà il sonno, il Macellaio pluriricercato da polizia e giornali, sceglie le sue vittime tra l’umanità sbandata che popola le strade di Londra, persone stanche di vivere e che senza saperlo non attendono altro che la morte.
Vittime che a volte lottano per sopravvivere e molte altre, invece, si abbandonano rassegnate.
I suoi omicidi sono semplici, veloci e, per gli inquirenti, senza movente. L’uomo della Sabbia riecheggia fin dal titolo la visione notturna e minacciosa di una demoniaca presenza che, a poco a poco, sgretola le rassicuranti categorie della ragione. William Burton è l’Uomo Nero in fondo alla strada, il babau in paziente attesa, lo spettro oscuro alle spalle di ciascuno.
È l’ombra spaventosa di ogni uomo comune. Il tranquillo vicino che ci invita, con la mano guantata, a oltrepassare la soglia buia della sua casa.
Un autore che non ha simili tra i suoi contemporanei.
- Time Out -
Autore
Miles Gibson è nato nel 1947 e vive a Londra. Ha lavorato nella pubblicità e scritto per il Telegraph Sunday Magazine prima di iniziare, negli anni Ottanta, un’acclamata carriera di romanziere.
Recensioni
lankelot.eu
18 Luglio 2007
Il Sandman è, in diverse culture occidentali, uno spirito che sorveglia il sonno e i sogni dei bambini spargendo sabbia magica o polvere sui loro occhi. Se al risveglio ci si ritrova qualche granello sulle ciglia, quella è prova della sua presenza la notte prima. Wiki(en) ricorda le principali traduzioni e riscritture letterarie del mito, naturalmente deviazioni gotiche, da quella di E.T.A. Hoffmann (Der Sandmann, 1817, riletta da Freud nel 1919 in "The Uncanny") a quella di Andersen (Ole Lukøje, tradotta in The Sandman, 1842); quindi, i vari fumetti e i diversi omaggi rock (da Roy Orbison a Enya, dai Genesis ai Metallica). Non nomina Miles Gibson.
Perché? Perché in questo caso The Sandman è un’allegoria, e un prestito dal linguaggio giornalistico; macabro, come macabro è ogni nomignolo che i media mainstream vanno affibbiando agli assassini metropolitani, i serial killer. In comune con il Sandman, c’è che William Burton dà il sonno: è un uomo nero lucido e spietato, ma non freddo. È scosso da pulsioni contrastanti, è impaurito e impulsivo.
L’Uomo della Sabbia della tradizione occidentale appare solo qui, nelle sue memorie d’infanzia: "Immaginavo l’Uomo della Sabbia come un selvaggio locale, mezzo uomo e mezza bestia, un cadavere ciondolante ripieno di sabbia umida.
Sveglio, non lo vidi mai, ma spesso mi veniva a trovare nei sogni. E più crescevo e più oscuri diventavano i miei sogni" – era, in accezione italiana, il suo babau. Opera prima di Miles Gibson, giornalista inglese, ex pittore divenuto art director e copy, L’uomo della sabbia (The Sandman) è il diario del serial killer William Burton: letto dallo stesso omicida, in punto di decidere se s’è avvicinato il momento di consegnarsi alle autorità o meno. Notevole l’espediente di reiterare le prime pagine del romanzo nelle ultime del diario, senza variazioni; accresce la percezione di realismo, suggestiona. Ha qualcosa in comune con un altro illustre omicida letterario, Il re di Atlantide di De Swarte: in entrambi i casi, ci troviamo di fronte alla sconvolgente condivisione di esistenze segnate dalla solitudine, dalla pazzia, dal precoce incontro con la morte; da un amore impossibile, e da relazioni sentimentali estranee all’equilibrio.
Là, dove Geoffrey impagliava creature, qui William parla con le bambole; Geoffrey custodiva un faro, William era proprietario d’un albergo. Disperatamente soli, nell’isolamento sviluppano una ossessione nei confronti della morte; è una morte che giudicano conquista, i loro morti diventano parte integrante delle loro esistenze; in De Swarte impagliati, qui fotografati – in ogni caso il concetto mi sembra analogo: sono "undead" nella psiche dell’omicida, con differenti supporti, iper o ipo realistici, tri o bidimensionali.
Miles Gisbon conosce uno humour nerissimo, normalizzante ma non semplificante. I suoi cadaveri vegliano e infestano sogni e realtà, testimoni di quella morte che lui ha incarnato e animato, e che un giorno conoscerà in prima persona. I dialoghi con le vittime sono brevi, deliranti e tuttavia, paradossalmente, credibili; c’è chi s’abbandona alla sua volontà, chi si ribella (grottesco) e cerca corruzione multipla o persuasione impossibile.
Tutti finiscono fotografati, campionati per un album di tetri ricordi; l’unico modo per conquistare la presenza dell’alterità, di quest’uomo così solo, è fotografarne la morte e meditarla. Eternandola in se stesso. Diciotto gli uccisi, a dispetto dell’abnorme numero assegnato dalla stampa; che lo chiama Shiva, Dottor Morte, Aureo Mietitore, Macellaio per non ammettere la realtà.
L’omicida non è l’uomo nero, è il vicino di casa che ha visto morire il padre da bambino, e non ha capito come sia accaduto; ha visto impazzire la madre, e l’ha osservata defraudata della libertà e dell’autonomia in uno di quei centri d’igiene mentale, prigioni senza gabbie e con tanti televisori, che vanno puntinando l’inconscio della nostra società, invisibili e tuttavia presenti.
È mite, cortese, gentile: "perfetto per l’omicidio" – e non sente rimorsi, sente paura, non ha impulso suicida, ma piuttosto si nutre e s’alimenta della sfida lanciata delle forze dell’ordine e dalla stampa. Intanto conosce il sesso come perversione gentile, quella d’una donna-levriero che si eccita pensando alla morte, alla violenza o all’annientamento della volontà; è una che conosce piacere soltanto simulando qualcosa di impossibile e di radicale. Lui è suo strumento, episodico, negli anni, sin quando – ironia della sorte – lei non viene massacrata dal marito, macellaio e lavoratore infaticabile. La scrittura di Miles Gibson è una febbre lucida, avvincente e debilitante; distante dalla superficie profonda, sempre inabissata nel passato e nelle memorie. Il suo omicida non rifiuta il dolore e la sofferenza; è andato oltre tutto questo, la realtà gli è sfuggita.
La plasma senza sosta; l’unico momento di rifiuto è nella morte della sua compagna di giochi, innervata da fiumi di brandy. Ha assimilato la normalità e la linearità della morte, ha smesso di patirla: d’un tratto, per dominarla, la incarna. Destinato ai cultori del genere, agli aficionado del noir e a quanti cerchino letture della psiche degli assassini capaci d’essere assolutamente letterarie, non sociologiche né soltanto psicanalitiche, e nient’affatto mediatiche: s’intraprende quindi un viaggio negli abissi, non se ne emerge sino all’ultima battuta.
"Say your prayers, little one / Don’t forget, my son / To include everyone / Tuck you in, warm within / Keep you free from sin / Till the sandman he comes / Sleep with one eye open / Gripping your pillow tight / Exit light / Enter night / Take my hand / Off to never never land" (Metallica, Enter Sandman).
Gianfranco Franchi
il Gazzettino
20 Agosto 2000
William Burton ha ucciso diciotto persone. È un serial killer, ma lui si definisce un artista, qualcuno che a un certo punto della vita ha scoperto in sé un talento, ha sentito una missione e l’ha seguita.
Con la pacatezza di chi racconta le cose più semplici e naturali, William Burton racconta la sua vita, scavando tra i ricordi e oggettivizzando, con la massima lucidità, le proprie sensazioni. Un cammino verso e dentro il Male osservato dallo spettro oscuro che cammina alle spalle di ciascuno di noi. Un noir da non perdere per vedere l’ombra spaventosa di ogni uomo comune.
Giovanni Lugaresi
Pulp n. 27
Settembre 2000
Pubblicato nel 1984, L’uomo della sabbia è il primo romanzo del cinquantatreenne inglese Miles Gibson, ex art director e giornalista, convertitosi alla letteratura ma senza abbandonare l’interesse per le arti figurative (firma le illustrazioni e le copertine dei suoi libri) e per la narrativa per l’infanzia. E una fiaba per adulti, dal tono pacato ma al contempo straniante, si potrebbe definire L’uomo della sabbia, titolo che riecheggia il più famoso racconto di Hoffmann e la visione notturna e minacciosa di una delle figure archetipe della letteratura romantica.
Demoniaca presenza che turba l’insonnia dei grandi e i sogni dei bambini e che, a poco a poco, sgretola le rassicuranti categorie della ragione. Evocarlo, anche solo una volta, può essere fatale. Incontrarlo vuol dire morire. Anche se William Burton, detto Merluzzo - alias l’Uomo della Sabbia, alias l’Orrore di Hammersmith - ha l’aspetto tutt’altro che perturbante di un prestigiatore dilettante, di un giovane solitario e un po’ impacciato, reduce da un’infanzia anomala ma a suo modo felice, tra biscotti Godfrey’s Fingers e bambole di pezza a cullare l’assenza improvvisa di un padre e la follia distruttiva della madre. "Siete sconvolti? Avreste preferito che Merluzzo lo Squartatore, che il Macellaio di Londra fosse stato incatenato in un sotterraneo e preso a cinghiate? (...)
Spiace deludervi ma, ahimè, i miei primi anni di vita sono stati felici come un libro per bambini". Scritto da Lewis Carroll, forse, ma in ogni caso riveduto e corretto dall’autore di Dottor Jekyll e Mister Hyde poiché, come traspare dal racconto diaristico del protagonista gibsoniano, perdita della felicità e la fine dell’adolescenza coincidono con la conoscenza della morte e il piacere del delitto. Da compiersi senza enfasi e spargimenti eccessivi di sangue, bensì con la rapidità e il tocco gentile di un Angelo della Morte. "Aprite le braccia e accoglietemi" è il consiglio accattivante rivolto da questo artista dello stiletto all’umanità sbandata che popola le strade di Londra, palcoscenico ammuffito e decadente di una black comedy di sapore vittoriano.
Perché, scritto prima che il serial-killer diventasse icona criminale di fine secolo, L’uomo della sabbia, pur non nominandolo, ne evoca le gesta esecrabili senza adottarne, tuttavia, la prevedibile psicologia, su cui la letteratura di genere (e la cronaca nera) ci hanno ormai abbondantemente edotto. Per William Burton - creatura di carta che riassume in sé tutte le paure del nostro inconscio - come per Miles Gibson, l’omicidio è, in fondo, qualcosa di più semplice. Arte del bello e del sublime, che può innalzare la banalità di un corpo all’algida bellezza di una natura morta. Gioco segreto e perverso che ha a che fare con l’illusione e, perché no? con la magia.
Ombretta Romei
Libri Nuovi
inverno 2000
E ora il piatto forte, tre romanzi e un unico tema, esplorato in maniera diversa.
I tre protagonisti sono serial killer, completamente fuori di testa, sprofondati nelle loro ossessioni, incapaci di vedere oltre. Due dei romanzi sono editi da Meridiano zero, un editore abbastanza recente di apprezzabile accuratezza, il terzo, quello che mi è piaciuto meno e che lascerò per ultimo, da Einaudi Stile Libero. Cominciamo da L’uomo della sabbia di Miles Gibson. L’autore è presentato come qualcuno che "ha lavorato nella pubblicità". Pessime credenziali, vero?
Fortunatamente Gibson NON è il solito creativo, ma uno scrittore raffinato che dipinge con mano leggera e una certa vis ironica il suo killer, William Burton, detto Merluzzo, assassino di diciotto tra uomini e donne, segnato dai giochi infantili fatti con una coetanea necrofila, e frustrato nei suoi tentativi di sedurre la stolida Vendi, cameriera ventenne in possesso di un solo talento, anzi due, molto evidenti… Giunto a Londra per sfruttare al meglio i pregi della metropoli, Merluzzo rivela una sorprendente capacità di annusare il desiderio di morte dei suoi simili, gente amareggiata, che trascina esistenze prive di scopo e di speranze per il futuro, vittime perfette per l’Uomo della sabbia: "Avrei scelto le facce più sgradevoli della folla […]" Prendete Doris: "Era una donna alta e velenosa, con folti capelli neri. Molti l’avrebbero considerata bella, ma faceva di tutto per nasconderlo […] Aveva gli occhi annebbiati di risentimento e la bocca pronta a sputare e ringhiare […]". Aiutarla a "transitare" sarebbe un vero atto di pietà, non credete? Certo non sempre le cose filano lisce, chi avrebbe mai immaginato che la tremenda Doris avesse degli amici, e che li avesse invitati a cena proprio per la sera della "transizione"? Non è facile la missione di Merluzzo, richiede sacrifici e rinunce e rinunciare non è facile, anche volendolo. La polizia, ad esempio, mica è disposta a credere a una confessione sincera…
Sospeso tra una notevole capacità di disegnare personaggi e un senso dell’umorismo nerissimo, L’uomo della sabbia merita di essere letto. Il mio nome era Dora Suarez, di Derek Raymond (ed. or. 1990), invece, è un romanzo "sgradevole". Impervio, ossessivo, raccapricciante, mette il lettore a tu per tu con un altro serial killer. Tanto Merluzzo è ironico e fine psicologo, quanto l’assassino di Dora è privo di humour, crudele verso gli altri e verso se stesso. Dora è una vittima predestinata: "sembri una che cammina all’ombra di qualcuno, come si diceva, su dalle mie parti". È una donna votata all’autodistruzione, senza speranza di riscatto, che soltanto il sergente, un poliziotto discutibile, ossessionato dalla giustizia e segnato dal matrimonio con una psicopatica, sa vedere per ciò che avrebbe potuto essere: una giovane donna bella, piena di domande, di potenzialità, rassegnata al suo destino ma decisa a non subirlo fino in fondo: "Quando morì Dora era molto elegante", vestita per uscire di scena. L’indagine diventa una questione personale tra il poliziotto e il killer, ed entrambi ne comprendono l’irreversibilità.
La Londra di Raymond è corrotta e senza pietà per i perdenti, e se il sergente riuscirà a fermare il killer poco potrà contro i veri responsabili del destino di Dora, malata terminale di AIDS, la squillo ideale per clienti malati come lei, che nessun’altra sarebbe disposta a compiacere. Raymond è bravo, scava nelle ossessioni del mostro e nelle proprie, riuscendo nel miracolo di creare un eroe moralista e poco simpatico, al quale è impossibile dare torto, ma del quale è impossibile non diffidare e un mostro spaventosamente umano: "Per la prima volta nei suoi trentotto anni gli venne il dubbio se la propria morte non potesse essere preferibile alla morte degli altri […]" Dora Suarez semina tarli nella mente: ci costringe a guardarci nello specchio imperfetto dei personaggi. Dora, il suo assassino, il poliziotto che non trova altre vie oltre alla giustizia sommaria… Tutta gente, fortunatamente, lontanissima da noi, ma abbastanza umana, anche nelle sue ossessioni, da farci star male. Questo è un libro difficile da metabolizzare, non completamente riuscito, che tracima dall’efficace (e rassicurante) equilibrio narrativo. …C
hissà perché Dora Suarez, molto più sgradevole, coinvolge, resta dentro, morde… Il fatto è, credo, che in narrativa gli ingredienti "troppo" giusti non funzionano, forse perché lo svolgimento diventa prevedibile… …Questioni di sesso, passione e morte che, come hanno detto molti buoni scrittori, soino le uniche cose di cui valga la pena di scrivere…
Carmilla
lettera.com
19 Maggio 2001
"Aveva un odore molto forte. Era strano, dolciastro e animalesco, come di babbuini che divorino una torta nuziale"
L’uomo della sabbia si aggira per la città con una valigia piena di coltelli. Si inebria quando gli occhi si chiudono ed il sangue schizza dalle giugulari. Fa fuori allo stesso modo, con tatto ed eleganza, vecchiette, donne fatali e pingui impiegati vittime della televisione. E’ un artista dell’omicidio, un acrobata della morte, un nobile macellaio dai guanti di gomma. Strano, ma siamo dalla sua parte. Lo accompagnamo senza esitare nelle sue incursioni notturne, lo seguiamo, pronti ad aiutarlo, a ridere delle improbabili situazioni nelle quali si caccia. Ci racconta in un diario una strana infanzia, un tenero ed innocente modo di amare, gli scherzi del destino. Un noir esilarante. Assolutamente (assolutamente!) imperdibile.
Concetta A. Colavecchio
nonsololink.com
14 Novembre 2007
Comincia il tempo adatto per trascorrere qualche sera, o il fine settimana, in casa, magari con un caminetto acceso, a leggere un buon libro. In casa, dove si allungano, in questa stagione, le ombre e dove possa sembrare di avere sotto al letto qualche maniaco e uno sconosciuto capace di uscire da un momento all’altro dal box della doccia. Scene che hanno fatto la fortuna di Alfred Hitchcok, piuttosto che di altri autori del genere thriller. Invece, il libro che vi consiglio oggi è un noir vero e proprio, con tanto di uccisioni e di spargimento di sangue. Un noir elegante, molto ben scritto, vera opera letteraria del genere.
Ovviamente per gli amanti del genere e per chi non si spaventa troppo facilmente. Miles Gibson ci regala frasi infiocchettate, ricami di discorsi, descrizioni crude ed allo stesso tempo bellissime. A chi verrebbe in mente di paragonare una persona ad un sacchetto di pasticcini? A fronte di un impianto narrativo di tutto rispetto, l’autore tratteggia in modo deciso la personalità di un assassino.
Uno dei peggiori, anche a detta degli inquirenti che in questo contesto non appaiono, se non dai trafiletti di giornale o alla fine, per un informale interrogatorio. Dei peggiori perché William, soprannominato il Merluzzo perché da piccolo era lungo e secco e teneva sempre la bocca aperta, uccide per il gusto di uccidere. Non sceglie le vittime in maniera premeditata: lo ha fatto con la prima e gli ci è voluto troppo tempo. Adesso uccide e basta, in fretta, per assaporare la vertigine del sangue e del dare la morte.
Lui è sabbia, l’Uomo della Sabbia, quello che decide come una clessidra quando il tempo di un essere umano è finito. Le sue vittime sono persone anziane, uomini o donne, e prostitute. Ma anche un’assistente sociale o una coppia. L’abilità di Gibson è quella di accompagnarci nella vita di William con la voce stessa del protagonista, cominciando via via a farci capire: la madre sola, il padre rinvenuto cadavere sul pavimento proprio da lui, un albergo sulla costa deserto per molti mesi all’anno, la malattia mentale della mamma, la solitudine.
William non ha amici, se si fa eccezione per una ragazzina, Dorothy, dai gusti macabri: le piace giocare a fare la morta, stesa sul pavimento, o intrattenerlo in giochi vagamente erotici che li ritroveranno amici anche molti anni dopo. Eppure, Merluzzo non ha mai avuto una compagna, non ha mai avuto rapporti sessuali, non sa nemmeno da che parte cominciare; e lo terrorizzano così tanto che quando trova una ragazza, Jane, fa in modo di perderla, troppo stretto il legame con una persona.
Quando la madre andrà a stare in una struttura specializzata, Merluzzo di trasferirà a Londra, dove comincerà la serie degli omicidi. Quando la polizia si renderà conto che l’autore dei crimini è sempre lo stesso, verrà organizzata una squadra che continuerà a brancolare nel buio. Se all’inizio ai suoi delitti veniva dedicato solo un trafiletto, ora può vantare intere pagine di speciale sui quotidiani di alta tiratura e molti mitomani fingono di essere lui. Dal momento che usa affilatissimi coltelli da macellaio per uccidere le sue vittime, quello sarà il suo nome, il Macellaio. Preciso, silenzioso. Fino a quando si spezzerà il suo ritrovato equilibrio: morirà la madre e Dorothy verrà uccisa dal marito. Il circolo si stringe e si chiude nel contempo, con un finale lineare che pure lascia sorpresi. Uno stile deciso, senza colpi di scena, eppure entusiasmante. Se non si ha troppa paura e se si amano questo genere di libri.
Alessia Biasiolo
Data di inserimento in catalogo: 09.04.2013.