Autore: Kent Harrington
Il día de los muertos: il giorno dei morti, grande festa popolare messicana, sta per arrivare.
A Tijuana, sotto un sole torrido e impietoso, l’agente della DEA Vincent Calhoun aspetta il ritorno della suerte, la fortuna che sembra averlo abbandonato. In quella terra di confine, lui ha già perso molto: la fiducia, l’onestà, e montagne di dollari alle corse dei cani. Calhoun è un senza legge, un coyote che trasporta illegalmente clandestini negli Stati Uniti.
Ma ora è convinto di aver avuto la dritta giusta, di avere in tasca la scommessa vincente. Si sbaglia. E mentre lo strozzino con cui è indebitato può ricattarlo, imponendogli di condurre oltre confine un passeggero molto scomodo, ecco comparire, come una visione dal deserto infuocato, la ragazza che un tempo lo ha rovinato… Sudore, polvere, sole accecante.
Come in un film di Sam Peckinpah, non c’è scampo dalla resa dei conti. Come in un romanzo di Jim Thompson, non si può stare univocamente dalla parte del bene o del male. Si procede su un sentiero di sabbia rovente, scrutando il deserto con occhio febbricitante. Duro e disperato, Vincent Calhoun è l’eroe maledetto che accetta l’ultima scommessa, è il cuore perduto che ritrova i ricordi.
Il giorno dei morti è arrivato: lui, solo, deve trovare il proprio riscatto.
"La legge della dannazione insidia l'anima
in una torrida cittadina messicana.
Un noir vero."
- Corriere della Sera -
"Un noir veloce, teso, ambientato in un'atmosfera indelebile,
ricca di odori, di umori, di sensuale violenza."
- New York Times -
Autore
Kent Harrington vive negli Stati Uniti. Día de los muertos è il suo secondo romanzo.
La critica americana lo ha osannato: "Se American noir fosse una voce del dizionario, ci trovereste una foto di Kent Harrington al posto della definizione."
Recensioni
Alias
9 Luglio 2011
A Tijuana, Messico, Vincent Calhoun aspetta il día de los muertos, la grande festa del Giorno dei Morti. Le scommesse sulle corse dei cani lo hanno ridotto sul lastrico, ma ora pensa di avere in tasca la dritta vincente. Perde, e il suo strozzino gli propone di saldare i debiti scortando oltre confine un ricercato. Mentre Vincent si trascina sotto il sole del deserto, riemerge dal passato la donna della sua vita.
Il cammino infernale è l’ultima scommessa, solo Vincent può provare a vincerla.
Meridiano Zero conferma grande intuito nello scegliere titoli e autori.
Luciano Del Sette
Buscadero n.225
Giugno 2001
Uscito sul finire dello scorso anno, Día de los muertos è uno dei più avvincenti romanzi ambientati sul border degli ultimi anni.
Già il fatto di essere introdotto da una strofa di Volver Volver, un tradizionale notissimo a chi ha seguito fin dall’inizio la storia dei Los Lobos, dovrebbe bastare come biglietto da visita. In più, servono magari le parole dello stesso Kent Harrington che a proposito del libro ha detto: " Día de los muertos appartiene alla scuola dei romanzi di Jim Thompson: le cose vanno di male in peggio e arriva un colpo di scena, ma in più credo che abbia l’andamento di un film. Ho cercato di sposare cinema e romanzo".
La trama sembra effettivamente la sceneggiatura standard per passare l’esame del corso di noir assoluto, relatori gli illustrissimi il gia citato Jim Thompson (per l’assenza di vie d’uscita) e James Ellroy (per via di Tijuana Mon Amour): potete scoprirvela da soli, perché in Día de los muertos conta soprattutto il protagonista.
Vincent Calhoun è un uomo roso dall’odio e dal desiderio, due sostanze apparentemente inconciliabili, ma che sul border, nel Día de los muertos, si fondono come la nitro con la glicerina. Dal canto suo, lui, un loser di primissima categoria, fa poco o nulla per disinnescare tutte le probabili esplosioni che incontra nel suo andare avanti e indietro sulla linea di fuoco del confine.
Essendo un coyote (e qui bisogna andare a leggere e rileggere il significato di questa parola in Leggende del deserto americano di Alex Shoumatoff, che ne offre una definizione ben al di là della semplice connotazione zoologica) Vincent Calhoun ha un’esistenza parecchio complicata e il carattere rocambolesco di Día de los muertos ne riporta magnificamente l’essenza con un ritmo serrato e avvincente da thriller, ma con un paesaggio da frontiera e una città, Tijuana, in cui "c’era gente con cui era preferibile non correre rischi". Non si tratta soltanto di brutti ceffi o di stare dalla parte sbagliata.
In Día de los muertos prima o poi l’inganno viene a galla e si paga sempre perché "tutti mentiamo a noi stessi. Fa parte della vita. Mentre guidava Calhoun si raccontava bugie. Gli uomini da cui stava per farsi prestare soldi erano suoi nemici, e quando diceva a se stesso che erano soltanto strozzini mentiva. Sapeva che non era vero. Aveva giurato che non sarebbe mai venuto a farsi prestare soldi da El Cojo perche El Cojo era il più infimo di Tijuana e, in effetti, suo nemico, in quanto gestiva le pattuglie più cattive dei topi del deserto.
Ma in Messico mentire a se stessi risulta più facile che altrove. È un paese così, si disse".
Leggetelo con la colonna sonora del bellissimo Borderland di Tom Russell e vi sembrerà di essere nel mezzo di un film di Sam Peckinpah.
Marco Denti
Duel
Novembre 2000
James Ellroy ce lo ha raccontato in Dalia nera: Tijuana è il regno dei disperati, la cloaca dove gli americani sfogano desideri inconfessabili.
La città di confine è la vera protagonista del libro di Kent Harrington, sembra sullo sfondo, intenta a preparare la festa del Giorno dei morti, ma è lei che decide per tutti: dispensa fortuna e morte. Fra calore, sangue, sesso, polvere e corruzione, l’agente della dea Vincent Calhoun sta affondando e non gliene frega niente. Scosso dalla febbre, inseguito dagli strozzini, sa che i suoi superiori lo stanno per inchiodare.
Lo ha avvertito un collega, eppure continua nel traffico dei clandestini e si lascia coinvolgere in ogni nefandezza. Nella sua precedente vita, Vincent viveva in California, faceva l’insegnante di liceo e venne rovinato dalla relazione con una studentessa.
Ora la ragazza ricompare, per regalare una speranza o per acuire il rimpianto? Formidabile noir, il romanzo deve molto al grande Jim Thomposon. L’universo è lo stesso. Composto da lacerazioni e violenze, un mondo di vite da niente, sprecate, con emarginati che anelano la follia. Per liberarsi, pacificarsi.
Massimo Rota
liberidiscrivere.splinder.com
13 Luglio 2011
Grazie per avermi invitato. Mi sono divertito molto a rispondere a queste domande davvero interessanti. Sono stato in Italia l’anno scorso per la prima volta nella mia vita e mi sono sentito come se fossi tornato a casa. In realtà è vero. Ciao Kent. Grazie per aver accettato la mia intervista e benvenuto su Liberidiscrivere.
- Dicci qualcosa di te. Chi è Kent Harrington? Punti di forza e di debolezza.
- Kent Harrington, è nato a San Francisco e al di là di tutto è un vero mistero per me, e pensare che sono quello che lo conosce meglio! Ho un solo vero punto di forza: una testardaggine profonda. Ma senza di essa non sarei mai riuscito a finire un romanzo, o, del resto, non avrei intrapreso nessun tipo di carriera nelle arti. Devi essere testardo e un po’ indifferente a qualsiasi risultato se vuoi essere un artista. Certamente bisogna essere indifferenti alle critiche o non si va mai da nessuna parte. Così si potrebbe dire che – fino a un certo punto – si deve dare il meglio e, allo stesso tempo non deve fregartene un cazzo. Queste sono idee contraddittorie, lo so, ma il mondo dell’artista è una confusione piena di contraddizioni, tensioni e labirinti impossibili: è un particolare tipo di follia. Debolezze. Oddio ne ho tante. Ma le considero, stranamente, anche i miei punti di forza. Perché combattendo le mie debolezze ho scoperto la mia umanità. Siamo tutti imperfetti e non costantemente. Devi solo sperare di non fallire le grandi cose della vita. C’era un famoso torero a cui una volta fu chiesto cosa facesse per rimanere in forma e lui ha detto: "Io bevo e fumo sigari. Come potrei mai essere se no più forte del toro? "
- Parlaci del tuo background, i tuoi studi, la tua infanzia. Quando ero molto giovane, a nove anni, sono stato mandato in una scuola militare. E mi ha cambiato. Non sono mai stato più lo stesso perché una volta che si è cacciati fuori dalla famiglia in così giovane età e si va in quel ambiente scolastico cane-mangia-cane, non si può più tornare indietro. Non sono mai stato in grado di considerare i miei genitori più come protettori o come "genitori". Non è che io non li amassi, è stato che una volta che si è abbandonati a se stessi, senza potere chiedere aiuto a nessuno, o si rimane schiacciati dall’esperienza, o si impara a sopravvivere. La sopravvivenza in quel tipo di scuola significava imparare a lottare fisicamente. Ho imparato a combattere in modo che gli altri ragazzi mi rispettassero abbastanza da non prendere il sopravvento su di me. I ragazzi che non hanno imparato la lezione sono stati schiacciati spiritualmente ed è stato devastante. In molti modi. Sono contento di essere stato lasciato in balia di me stesso da bambino, perché mi ha reso molto più forte nel corso della vita. Sono andato all’Università e ottenuto una laurea in letteratura spagnola. Non sono mai stato più felice di quando ero uno studente universitario. Non c’è niente che mi piaccia di più di studiare qualcosa. Forse è per questo che ho scelto di fare lo scrittore, perché il romanzo ti trasforma sempre in uno studente. Nessuno può dominare il romanzo! Nessuno. Per me il paradiso sarà un campus universitario con un sacco di vecchi libri, il cappuccino, e tanta conversazione.
- Cosa ti ha fatto iniziare a scrivere romanzi polizieschi?
- Ho iniziato a scrivere romanzi polizieschi perché ero affascinato dal lavoro di Jim Thompson. Non avevo letto molta narrativa americana poliziesca da studente. Non era il genere di lettura che veniva permessa nella mia scuola. Non ho letto narrativa pulp fino a ai vent’anni in effetti. Sono cresciuto leggendo i classici nella mia scuola i romanzi pulp venivano in realtà confiscati! Comunque, quando mi sono imbattuto in Thompson, dopo l’università, sono rimasto folgorato perché non avevo mai letto nulla di simile. E sentivo di capire il motivo perché aveva scelto lo stile che aveva. Volevo anche provare a scrivere in uno stile più simile a Hemingway e meno allo stile di D.H. Lawrence come avevo cercato di fare in precedenti lavori. Quello che non capivo era che era proprio la sensibilità noir quello che davvero mi stava attirando in Thompson. Comunque, ho deciso di provare a scrivere un romanzo poliziesco che si è rivelato essere il mio primo romanzo pubblicato: Dark Ride. È stato un successo minore. Ma sono stato molto fortunato, mi ha permesso di iniziare la mia carriera di scrittore.
- Nelle interviste citi Hemingway, Fitzgerald, DH Lawrence, Greene, Faulkner, Orwell come influenze. È vero?
- Sì, è verissimo. Tutti loro hanno avuto una profonda influenza su di me. Mi dispiace solo che ora siano caduti in disgrazia, almeno in questo paese. C’è molto meno stile ormai nella narrativa popolare in America rispetto ad una volta. Devo molto a questi scrittori, loro mi hanno fatto veramente la persona che sono oggi. Le persone che dicono che l’arte non è importante non hanno mai letto un grande romanzo. Ti può cambiare.
- Puoi dirci qualcosa del tuo romanzo d’esordio, Dark Ride?
- Come ho detto sono stato incuriosito dalla sensibilità noir. Si tratta di uno stile che "improvvisa" molto. Le cose sono apparentemente dure ed esposte ancora in modo che si arriva a vedere che sono esattamente l’opposto. Infatti è attraverso questo stile schietto che è stato possibile proiettarci oltre la faccia nascosta della società, di indagare i segreti sulla vita americana, se vuoi. La nostra è sempre stata una società di segreti e atteggiamenti doppi e, ovviamente, di illegalità. Voglio dire guarda la storia della nostra marcia verso l’Ovest. Perché sentiamo così tanto il bisogno di possedere armi da fuoco in America? In Dark Ride ho voluto descrivere un personaggio che è stato fatto impazzire dalle aspettative della classe media, e dalla cultura alla base del successo che domina qui. Negli USA – non so se è lo stesso per l’Italia – se qualcuno indossa un bel vestito e ha le mani pulite può realmente ottenere rispetto. È la cosa più sorprendente. Se vuoi veramente nascondere le tue intenzioni criminali in America, basta indossare un bel vestito. Dark Ride si occupa anche dell’importanza della sessualità come linguaggio della psiche umana. In altre parole, l’espressione sessuale, come nel caso del sadomasochismo come scrivo nel romanzo – è estremamente articolata e riflette una cultura più ampia. Ho sentito che la cultura del successo in America è legata all’idea di dominio e di aggressione e che l’incapacità di Jimmy di avere successo fa si che per lui sia facile cadere sotto l’incantesimo di una donna che è apertamente interessata alla dinamica sessuale dominazione / sottomissione del sadomasochismo. In altre parole, se non puoi essere dominante nel mondo, dove anche le più grandi azioni sono percepite come un "fallimento" – forse si può giocare ad essere dominante in camera da letto e viceversa? Ci sono casi di uomini molto potenti che pagano per poter svolgere il ruolo del sottomesso sessualmente. Dark Ride comunque è un ritratto di famiglia americano girato in bianco e nero, e con una doppia esposizione. Red Jungle evoca una ricca tradizione letteraria e richiama soprattutto i confronti con il lavoro di Graham Greene, in particolare The Heart of the Matter e The Quiet American.
- Era questo un obiettivo?
- Red Jungle ha segnato il mio ritorno allo stile di scrittura di altri che mi sono sempre piaciuti e con cui sono cresciuto: è uno stile più letterario dici come quello di Graham Greene. (Mi piace oscillare tra i due stili diametralmente opposti.) È questo stile "letterario" che penso possa aggiungere tanto ad un thriller popolare. In altre parole, i due non si escludono a vicenda, a mio avviso. In realtà non vi è, credo, un vero vantaggio ad utilizzare lo stile letterario di uno come Graham Greene quando si sta scrivendo di un posto. L’ambientazione è una parte importante di Red Jungle. E anche se è stato facile per me scrivere del paese di mia madre – ho parlato spagnolo prima di parlare inglese – sapevo che avrei dovuto far esistere quel luogo attraverso il linguaggio. È interessante far si che il lettore sia veramente portato in Guatemala. Comunque, questo è quello che ho pensato ed è quello che ho cercato di fare. Se c’è un confronto – tra il mio lavoro e il thriller politico di Green – è perché mi piace usare l’obbiettività di Green. Nessuno esce veramente bene nel mondo di Greene. Si riduce la politica alle azioni degli individui, ed è quello che la letteratura dovrebbe fare. Nessuno ottiene un pass gratuito. Credo di avere lo stesso atteggiamento. Per esempio in The Comedians, una vera opera di genio, Greene cattura la moderna Haiti. Egli definisce assolutamente bene i problemi del suo status coloniale e la sua relazione con gli Stati Uniti e Francia nel corso degli anni. In un certo senso è scientifica, quasi brutale, ma a volte gli scienziati, siano essi politici o medici, devono affrontare le dure verità al fine di elaborare cure. I buoni romanzi possono aiutarci a tradurre la complessità del mondo moderno in qualcosa di comprensibile. E speriamo di uscirne più istruiti. Consiglio vivamente la lettura di The Comedians di Greene a tutti. Si tratta di una grande opera d’arte, e uno strumento utile per la comprensione di Haiti fino ad oggi. Questo è un risultato notevole per un romanzo che ha più di 40 anni!
- Parliamo del Día de los muertos uscito in Italia con Meridiano Zero. Qual è la storia editoriale di Día de los muertos?
- È stato pubblicato negli Stati Uniti da DMP (Dennis McMillan Publications è uno dei grandi e ora giustamente famosi piccoli editori di polizieschi negli Stati Uniti.) nel 1997. Ho avuto difficoltà a collocare il libro con gli editori tradizionali più grandi, nonostante il successo di Dark Ride. Che consideravano Día de los muertos, come troppo esagerato. Non ho mai capito questa opinione. È stato strano per me. Tuttavia McMillan lo ha letto e mi ha chiamato rapidamente e ha detto che l’avrebbe pubblicato e al diavolo il resto. Sono entrati in classifica e il libro è ormai considerato un classico del noir. Le edizioni originale a volte vendono più di quanto si preveda. Divertente! Certo che sono orgoglioso della popolarità del libro. È stato poi pubblicato da Capra Books, che ha pubblicato Anaïs Nin e Henry Miller ed altri, nel 2004, in edizione commerciale. È stato pubblicato in diversi paesi in tutto il mondo, tra cui in Italia da Meridiano Zero, come hai detto tu. È in procinto di essere pubblicato da Diversion Books in formato eBook questa estate negli Stati Uniti. Il libro non è mai andato esaurito in oltre 10 anni. Mi ha fatto capire che non bisogna mai rinunciare a un libro solo perché qualcuno dice che è troppo scioccante.
- Parlaci del processo di scrittura del libro? Qual è stata la parte più laboriosa?
- Vorrei poter dire che la Día de los muertos è stato difficile da scrivere, ma non è vero. (A differenza di Red Jungle che è stato difficile.) Día de los muertos è fluito verso di me. Posso onestamente dire che ho sentito la presenza di Hemingway, John Huston e Jim Thompson nella stanza mentre lavoravo. So che sembra folle, ma alcune mattine, vi giuro, li sentivo lì con me mi davano consigli e tifavano per me. (È stato molto divertente e ironico che dopo la pubblicazione del libro, il figlio di John Huston mi ha chiamato al telefono e voleva farne un film!) È stato meraviglioso sentire la loro presenza. Spero che accada di nuovo una o due volte nella mia vita.
- Altre opere ti hanno ispirato nella scrittura di questo romanzo? Jim Thompson?
- Volevo scrivere un romanzo che avesse luogo in un solo giorno – 24 ore. Sapevo solo quello, ma non c’è un romanzo che mi ha ispirato in tal senso. Quello che è successo è stato questo: ero andato giù a Tijuana per la corrida, da solo. In ogni caso, un giorno ero a pranzo in questo luogo che era un posto pazzesco, aveva posti a sedere all’aperto e tutti i tipi di persone diverse venivano lì: stelle del cinema da Los Angeles per le corride, gangster, Marines, turisti.
Una vera e propria miscela di tipi, e ho visto Vincent Calhoun entrare. E poi ho cominciato a vedere gli altri luoghi in città, fonte della mia ispirazione. Per me esiste Calhoun. Lui è un vero uomo. L’ho visto una domenica. Puoi parlarci un po’ del tuo protagonista, Vincent Calhoun? Vincent Calhoun è un miscuglio di tutti i duri che ho conosciuto, e ne ho conosciuti parecchi. La cosa che rende interessante Calhoun penso che sia che a lui non frega un cazzo. A lui veramente non importa. Può morire o non morire in uno scontro a fuoco. È uguale. È pericoloso perché in realtà non gli importa se vive o muore. Stavo lavorando a East Oakland prima di scrivere Día de los muertos e c’era un sacco di violenza. Ho lavorato nella parte peggiore di un iperghetto per diversi anni in effetti.
Sono stato quasi ucciso in un fuoco incrociato e avevo quasi perso la mia lucidità e non mi importava più se fossi vissuto o morto. E penso di aver infuso in Calhoun, il mio atteggiamento di non me ne frega un cazzo. Se sono morto sono morto. Ho avuto questo atteggiamento anche in Guatemala, quando ho scritto Red Jungle. Grazie a Dio non vivo più in quel modo ora. Ma era molto reale e allora penso che sia ciò che rende alcuni dei miei romanzi di ampio respiro: sono stato davvero così pazzo. A meno che non siate veramente stati sul bordo del precipizio e abbiate guardato in basso, allora non si può tornare indietro e scrivere su di esso. Oppure, se lo fai, credo che la gente lo capisca. Ci sono un sacco di Vincent Calhoun, non ho dovuto inventare niente, credimi. È per questo che è reale per me, e lo sarà sempre. Si tratta di un noir di confine, ambientato nella città di Tijuana.
- Il mondo latino è una fonte di ispirazione? Hai letto Tijuana mon amour di James Ellroy?
- Sì, il mondo latino è una fonte di ispirazione per me. È presente nel mio sangue e mi piace descrivere la sensibilità latina verso il mondo esterno. Credo che i miei processi di pensiero siano quelli latini. Non ho mai letto Tijuana mon amour di Ellroy, ma vorrei. Ho intenzione di aggiungerlo alla mia pila di libri da leggere!
- Vuoi descriverci una tua tipica giornata da scrittore? Mi alzo molto presto al mattino e rivedo quello che ho fatto il giorno prima e poi inizio a scrivere. Alle 11:30 ho finito. Non riesco a scrivere bene dopo le 12. Lascio la mia scrivania e vado a fare esercizio: corro, sollevo pesi, faccio qualcosa di non cerebrale. A volte, quando il libro è quasi finito, gli dò uno sguardo nel tardo pomeriggio, in preparazione per il giorno successivo. Non lavoro nel fine settimana, normalmente. Non posso bere quando sto lavorando. Mi piacerebbe, ma non posso. Quindi non bevo. Bevo e faccio festa quando non sto lavorando ad un libro.
- Scrivi anche racconti o solo romanzi? Scrivo racconti e mi diverto. Vorrei scrivere una raccolta di racconti prima di lasciare la festa. Chi sono i tuoi autori preferiti viventi?
- Le Carre è un nome su una lista molto lunga. Qual è l’ultimo libro che hai letto? An area of darkness di V.S. Naipaul
- Hai mai avuto il blocco dello scrittore e se si che cosa hai fatto quando ti è successo?
- Sì, certo. La mia cura è quella di continuare a lavorare. Se le cose vanno veramente male prendo due o tre giorni liberi, o lavoro in un’altra parte del libro revisionando i capitoli precedenti. So che passerà. Dark Ride, The American boys, Red Jungle, The good physician.
- Sai se Meridiano Zero li tradurrà in italiano? So che Meridiano Zero sta per pubblicare Red Jungle, presto spero pubblicheranno anche tutti gli altri! - Parlaci del rapporto con i tuoi lettori? Come i lettori possono entrare in contatto con te? Beh, non ho un blog o cose del genere perché sono sempre occupato a lavorare su un romanzo o una sceneggiatura o qualcosa del genere. Ma spero che le persone vorranno contattarmi su Facebook, a cui è possibile collegarsi dal mio sito. È una bella sensazione vedere quelle facce, perché essere un romanziere è un mestiere solitario, diciamocelo. E, naturalmente, possono contattarmi tramite il mio sito web. Leggo le mail che arrivano attraverso il sito web e, quando posso, rispondo. Non esitate a scrivermi via kentharrington.com.
- Ti piace fare tour promozionali? Racconta ai nostri lettori italiani qualcosa di divertenti accaduto durante questi incontri.
- La cosa più divertente mi è successa durante il tour per il mio primo libro Dark Ride. Era previsto che andassi in una libreria Barnes&Noble in un centro commerciale in California e così ci sono andato ma a loro non avevano detto niente di me e non mi aspettavano. Mi hanno messo fuori accanto alle riviste seduto ad un tavolo da gioco senza libri. Un uomo venne da me e mi chiese se potevo togliermi siccome voleva arrivare alle Riviste di Penthouse e lo stavo bloccando. Mi sono sentito alto due centimetri e da allora ho sempre paura, quando mi reco in una libreria per una presentazione, che non gli sia stato detto! E che mi mettano fuori, tutto solo, vicino alle riviste di nuovo!
- Verrai in Italia di nuovo a presentare i tuoi romanzi?
- Spero di sì! Come sai amo veramente l’Italia. Spero che qualcuno molto ricco mi inviti. Qualcuno con un grande albergo che paghi anche i conti al bar e al ristorante! Chiamatemi (sorride).
- Infine, la domanda inevitabile: a cosa stai lavorando ora?
- Sto lavorando ad un nuovo romanzo poliziesco che si intitola Friend of ours e parte della storia è ambientata in Italia!
a cura di Giulietta Iannone
Pulp n. 28
Novembre 2000
Un vero classico noir, quello di Kent Harrington, maledetto e stradaiolo come un libro di Jim Thompson, esotico e ridanciano come il miglior Elmore Leonard (l’asta per i diritti cinematografici è già in corso). A corto di fortuna, tempo e denaro, Vincent Calhoun, un ufficiale perduto della Dea con l’icurabile abitudine del gioco e un gusto disperato per la bella vita, fa un patto col diavolo (Slaughter, padrino locale dai modi eleganti e spietati) per vincere una nuova vita e l’amore di Celeste, bella e - manco a dirlo - fatale avventura di gioventù ripiombata con un carico di sorprese e dolore nella sua esistenza disillusa.
È il Giorno dei Morti nella bollente e polverosa Tijuana. Calhoun, già organizzatore di ardimentosi passaggi di merce umana lungo il confine tra Messico e States, ha il compito di trasportare un ricco boss in rovina. Il rischio è alto ma la paga è buona. La coscienza tace sognando un futuro senza pistole e sudore. Ma nulla può l’umano arbitrio contro la sorte incattivita da troppe sfide. Calhoun fallirà il suo piano e si eclisserà, da buon eroe nero, in una morte triste e gloriosa. Può il racconto di ventiquattro ore affrescare un intero paese? Nel caso di Harrington la risposta è certamente sì. I suoi personaggi nuotano in un brodo primordiale di peccato, corruzione, malvagità e dissipazione.
Tijuana non è solo la città di confine che profuma di diesel e frontiera, il porto facile dove smerciare sesso e tequila. È il ventre marcio della bestia che nulla nasconde degli odori ed umori di un’umanità sull’orlo di povertà, frenesia e perversione. Una visione non dissimulata dai bagliori di benessere del Primo Mondo.
Calhoun è l’angelo caduto che combatte per la sua salvezza, il pessimo Slaughter è la sua tentazione personale, la dimostrazione attraente e psicotica di cosa succede a lasciarsi contagiare dal morbo della città. Ma i demoni sulla strada del Nostro sono molti, buon ultima Paloma, erinni cilena che guerreggia per il suo piacere assestandogli colpi mortali. Harrington racconta questa battaglia con scrittura sporca e disperata. Buona ma troppo letteraria la resa italiana.
Claudia Bonadonna