Autore: Kem Nunn
ATTENZIONE!!!
LIBRO ESAURITO E NON DISPONIBILE
Huntington Beach è un sole abbagliante, è i riflessi argentati sulle cromature delle Harley, è l’olio di cocco che fa luccicare i corpi abbronzati di ragazze seducenti. Huntington Beach è Surf City, la città del surf, sulla costa sud della California. Qui i maestri della tavola vi insegnano i segreti per domare le onde, attraverso il perfetto controllo della mente e del corpo.
Ike è arrivato dal deserto, da una strada polverosa dove il calore emanato dall’asfalto bollente sfuoca la vista del paesaggio. È venuto per cercare sua sorella. Ike è solo un ragazzo, ha con sé pochi soldi e un foglio di carta. Sul foglio ci sono tre nomi. Tre uomini partiti con Ellen per il Messico e ritornati soli.
Surf City non è però solo il suo volto solare, ma anche quel mondo notturno che si risveglia quando il buio inghiotte le falesie e si accendono le luci delle insegne per le strade. Voci che cantano la malia di una vitalità cupa, personaggi che iniziano Ike alla perdita della propria innocenza. L’anello che congiunge questi due universi, che è anche la chiave del mistero che ha portato via sua sorella, è proprio lì, davanti agli occhi di Ike. Un logo scritto su una tavola da surf, un’onda incoronata di fuoco, con le parole "Attingi alla sorgente".
Ma per attingere alla sorgente Ike dovrà attraversare gli abissi dell’io, la marea montante dell’eros e del desiderio. Dovrà conoscere una California che nessuna canzone dei Beach Boys ha mai cantato, percorsa da un senso d’abbandono che offusca il sole come una nube d’afa. E poi ritrovarsi sulla battigia, in compagnia di quelle anime aggrappate alla speranza, in attesa dell’onda perfetta.
Onde da brivido, mitiche moto e sentimenti forti in un avvincente viaggio di formazione
costruito come un thriller, prima fatica di uno scrittore e sceneggiatore
californiano appassionato di surf.
-Il Manifesto -
Autore
Kem Nunn ha trascorso la sua giovinezza nella California del Sud, dedicandosi al surf con grande passione.
Dopo una parentesi newyorchese di alcuni anni, ha fatto ritorno alla sua terra d’origine, dove vive attualmente, in riva all’oceano.
Lavora nel cinema, ha scritto diverse sceneggiature e soggetti cinematografici, e ha al suo attivo cinque romanzi, di cui in italiano è stato tradotto Pomona Queen (Meridiano zero, 2004). Surf City, il suo primo libro, è stato finalista all’American Book Award, ed è diventato ben presto un cult book nel mondo del surf.
Recensioni
Alias/il manifesto
9 Settembre 2000
Appassionato di motori, il diciottenne Ike lucida la sua Harley-Davidson in un villagio sperduto del deserto, scrutando l’orizzonte in cui ha visto dileguarsi l’adorata sorella. Ma ecco che uno straniero arriva a portargli notizie della ragazza: sarebbe partita per il Messico in compagnia di tre uomini poco raccomandabili. Ultima tappa conosciuta, un villaggio di surfisti in California, dove i tre hanno fatto ritorno senza di lei e da cui Ike inizierà la sua quete.
Onde da brivido, mitiche moto e sentimenti forti in un avvincente viaggio di formazione costruito come un thriller, prima fatica di uno scrittore e sceneggiatore californiano appassionato di surf.
Geraldina Colotti
Buscadero n. 218
Novembre 2000
La California raccontata da Kem Nunn in Surf City sembra essere un luogo dove tempi e spazi si sono irrimediabilmente confusi.
È come vedere un film che è Easy Rider nel primo tempo e Point Break nel secondo o tutti e due insieme. È una miscela esplosiva tra lunghe disgressioni psichedeliche tipicamente Grateful Dead o Jefferson Airplane e rapide detonazioni in sequenza modello X o Gun Club.
È un romanzo che avrebbero potuto scrivere Warren Zevon (che a sua volta, come ben sapete, è stato abbondantemente saccheggiato da Christopher Brookmyre in Un Mattino Da Cani, sempre Meridiano Zero) o Hunter Thompson, se non fosse: a) completamente fuori di testa; b) fin troppo lucido (e a proposito: per capire qualcosa della politica spettacolo, americana o meno, Meglio Del Sesso, Bompiani, è il vademecum perfetto). Le coordinate sono più o meno queste. Nel tessuto di Surf City, ci sono però due sottoculture molto vicine al rock’n’roll, ma per certi versi distanti e contrastanti, ovvero l’Harley e il surif, che s’incontrano sullo sfondo di un commercio di anime non propriamente metaforico.
Ike Tucker, attitudine da loser e meccanico di professione, è proprio con le Harley (e relativi proprietari) e con il surf (nonché i surfisti) che deve vedersela per scoprire dove (o come) è finita la sorella, spinta dalla voglia di lasciare il deserto e attirata dal sogno californiano. Ad Huntington Beach, la Surf City in questione, l’arrivo di Ike Tucker non è salutato con particolare gioia e il suo desiderio di verità farà scattare, come lame di un coltello a serramanico, gli equilibri tra gang, vecchi rancori e antiche amicizie, rapporti d’affari e legami sentimentali in un crescendo notevole.
Il romanzo funziona anche se non tutto gira alla perfezione: a volte i livelli del viaggio iniziatico di Ike Tucker e quelli del sostanziale noir che c’è nelle fondamenta di Surf City si confondono e Kem Nunn non è altrimenti abile a districarsi. Però la lettura è avvincente, priva di spigoli intellettualoidi e con un lungo finale degno di Brian De Palma. Cinema, ancora: anche perché Kem Nunn fa lo sceneggiatore e molte scene di Surf City (comprese quelle tra le onde) hanno proprio un taglio da celluloide, e tanto dovrebbe bastare. Oppure fidatevi del grande maestro del noir, Elmore Leonard, che di lui ha detto: "Kem Nunn appartiene a quella rara specie di scrittori che sanno preparare una storia e come raccontarla. Qui c’è un’energia straordinaria".
Marco Denti
carmineacetoedizioni
6 Marzo 2009
Kem Nunn: per fare surf sulle onde dell’anima.
Dal deserto al mare, dalla polvere all’acqua. In mezzo città capovolte, tavole da surf da capire, amici e nemici da conquistare per avere la risposta giusta. Una risposta introvabile, difficile e pericolosa come l’onda giusta, quella che chi sa aspettare trova magari una volta nella vita, ma nessuno può darti la certezza che esista davvero.
Un mondo d’incantesimi fasulli, di rapporti usa e getta, di sole che abbaglia ma non scalda. In una California così sottovuoto, un figlio del deserto gira senza mappa alla ricerca del viso perduto, dell’amore scambiato per dedizione e del tempo. A nuotare con lui un uomo già monco, che resta a galla il necessario e non un secondo di più. La marea sale improvvisa per riempire ogni vuoto, di quello che sommerge viene fuori poco o nulla, ma del resto, le onde o si cavalcano o si va a fondo.
Carmine Aceto
ankelot.eu
16 Maggio 2008
1984. L’opera prima di Kem Nunn, sceneggiatore cinematografico e scrittore californiano, è un romanzo di formazione che scolpisce un’incisiva immagine della decadenza del sogno americano: ferendone l’icona più scintillante di giovinezza e d’incoscienza, il surf.
Surf che diventa metafora del vuoto, della sfida insensata e tutta scenica con la natura, e con il niente che avido divora le anime. Da questo punto di vista, malinconico e distruttivo – e non distante da vaghe reminiscenze di sconfitte viet – è, volendo cercare un paragone col cinema, più in linea, fatte le debite distanze, con Big Wednesday di Milius piuttosto che col successivo ed emiludico Point Break della Bigelow.
La storia ha inizio nel deserto ("immagina la terra piena come il cielo, altrettanto vuota di colore"), come Paris, Texas di Wim Wenders – il parallelismo cinematografico è suggestivo, ma anche cronologicamente sensato: entrambe le opere sono apparse lo stesso anno, questo è Zeitgeist – e si fonda sulla solitudine, sull’incomunicabilità, sulla ricerca della verità su una figura perduta (la sorella del protagonista, Ike) e sulla propria identità.
È in un certo senso un’indagine sull’America che sta perdendo, tenete presente che siamo negli anni Ottanta, i punti di riferimento della propria essenza; non c’è un personaggio che non sia orfano o almeno decisamente distante dalla famiglia, non c’è un personaggio che viva con onestà e serenità, non c’è un personaggio estraneo all’inquietudine, all’oscurità, alla facile resa alla corruzione, e alla consegna alla dannazione.
Instabilità, squilibrio, desiderio e isolamento sono le keywords della psiche degli attanti. Droga e sesso animalesco, con poche e importanti eccezioni, le scorciatoie per l’evasione dalla realtà. C’è la cicatrice di un passato diverso, nel mondo dei surfisti di Huntington Beach. Dei giorni della gloria sportiva di Preston, del suo sodalizio con Hound, dell’apertura di un negozio dal logo allegorico: onde e fiamme, "tapping the source", disegnato da Janet.
Passato concluso non solo dall’esperienza al fronte e in prigione di Preston; ma – come scoprirà Ike – da una serie di torbide vicende a metà tra droga, snuff movie, pornografia e omicidio. Un ricco burattino manovra, neanche troppo di nascosto, quel che rimane delle anime e dei corpi dei surfisti. Chi muore, di solito, sono ragazze fuggite da casa in cerca di una dimensione altra, rovinate dalle ceneri del falso mito dell’eterna giovinezza dei ragazzi della spiaggia, del loro spettacolare coraggio, delle loro coreografiche sfide alle onde. Una di queste ragazze è la sorella di Ike. Al principio della storia, lui – meccanico esperto, cittadino anomico, assolutamente de-integrato – riceve un’inattesa visita nel deserto, nella sua cittadina dimenticata da dio.
Qualcuno gli consegna un foglio con una lista di nomi. Sono i nomi di quelle persone con cui Ellen era partita per il Messico, senza tornare. Ike – né arte né parte, giovanotto confuso e insicuro, vergine e non violento, cresciuto dallo zio e dalla nonna, un mancato incesto con la sorella alle spalle, e tante domande senza risposta – parte senza sapere bene cosa affrontare. La paura, certo. Quella non manca. Si adatta, poco a poco, nell’oscuro mondo dei surfisti, indagando con discrezione sulla storia della sorella. E quindi si assimila al tessuto sociale, senza nemmeno accorgersene. Come surfando sotto un’onda troppo alta.
Primo alleato è il contrastato Preston: come ognuno dei suoi compagni, farà (apparentemente) il possibile per convincerlo ad andarsene, e a dimenticare la sorella. Ma Ike, nella sua non sempre paralizzante insicurezza, è determinato a scoprire cosa ne è stato della sorella. A un tratto capisce che sta cercando più se stesso che lei. E che la perduta innocenza di quel microcosmo (solo di quel microcosmo, o di una generazione intera?) nasconde verità atroci e rimpianti e rimorsi senza rimedio. "Quando Ike alzò lo sguardo, vide che Hound lo stava ancora fissando. – Ho sentito dire che sei un surfista, – disse Hound. Ike non sapeva se fosse una domanda. – Sto solo imparando. – Tutti noi stiamo solo imparando." Stilisticamente l’opera mostra chiara adattabilità al cinema: è estremamente visiva, Nunn è notevole nelle descrizioni e ha una chiara capacità di creare atmosfere e di svelare, con intelligente progressione, gli sviluppi del plot e dei subplot. I dialoghi tengono, mostrando diversi tic e vezzi dei personaggi più semplici – dalla volgarità al grottesco misticismo surfista, dalla scontrosità poco più che bisillabica in avanti – e l’introspezione di Ike è davvero convincente.
Loser come da paradigma di Beck, sgretola l’inesperienza in ogni ambito, amicale ed erotico, esistenziale e sportivo, andando incontro a una debacle più generazionale che individuale.
Let’s go surfing now?
Gianfranco Franchi
Linus n. 9
Settembre 2000
Il mito delle spiagge californiane, delle spericolate acrobazie sulla tavola, delle gang rivali in Harley-Davidson, sono elementi che fanno parte ormai dell’immaginario comune, grazie soprattutto ai ritratti spettacolari che ci hanno fornito le tante pellicole americane, da Un mercoledì da leoni a Point Break.
Quello che mancava, e che questo bellissimo romanzo ci fornisce invece, è un motivo forte di identificazione: nella storia del ragazzino Ike, fuggito dal deserto e catapultato nel minaccioso universo dei surfisti di Huntington Beach alla ricerca della sorella scomparsa, viviamo dall’interno un processo di maturazione che è sì la scoperta di un nuovo mondo, ma anche, e soprattutto, la scoperta di se stessi.
Il fascino della conquista delle onde più alte acquista così il sapore di un traguardo ben più metaforico e sotto la trama del giallo d’azione si intravede, nettissimo, il disegno di un solido, doloroso e spietato romanzo di formazione. Se poi amate la west-coast, adorerete questo libro.
Matteo B. Bianchi
milanonera.com
29 Novembre 2009
Huntington Beach, California. Surf City, il paradiso dei surfisti: otto miglia e mezzo di spiagge senza interruzione; un luogo da sogno, tutto onde, profumo di olio solare e caldi corpi in bikini. Tutto? Forse no.
Sono gli anni ’80, e Huntington non è più il posto in cui, secondo l’inno surf di Jan e Dean, "sono tutti fuori a surfare o c’è una festa in corso": in città, una banda di bikers capitanati dal duro e tormentato Preston e un gruppo di surfisti riuniti intorno al misterioso e carismatico Hound, si godono le ultime giornate di un’instabile, pacifica, convivenza.
Le prime, casuali, domande di Ike Tucker, giovane meccanico arrivato in città per far luce sulla scomparsa della sorella Ellen – ragazza ribelle fuggita dalla vecchia stazione di servizio nel deserto verso l’oceano per cercare fortuna o per sottrarsi agli sguardi troppo insistenti dello zio Gordon, partita per il Messico con un paio di surfisti, e mai più tornata – bastano a riportare in superficie le ferite mai rimarginate di un tragico passato; un passato nel quale tutti gli equilibri sono stati stravolti dalla scomparsa di una giovane donna, misteriosamente legata ai capi delle due bande rivali, all’epoca amici inseparabili. E di Ellen, in città, non c’è nessuna traccia.
Così, mentre le due bande precipitano in un sanguinoso confronto, Ike si rende conto di non avere scelta: se vuole ritrovare sua sorella, deve conquistare la fiducia dei surfisti che l’hanno accompagnata nel suo viaggio verso il sud, anche a rischio della vita, a costo di perdere l’amore, e di tradire un amico…
Scritto nel 1984 dall’allora esordiente Kem Nunn, Surf City, opera inaugurale di un filone suggestivamente battezzato surf-noir, mette in scena, con grandissima qualità visiva e tecnica cinematografica – sembrerà forse scontato, ma il termine è qui usato in senso strettissimo: la solitudine del deserto è resa con silenziosi, bollenti, incredibili, campi lunghi, lo spaesamento prodotto dall’arrivo in città è testimoniato da una serie di panoramiche a schiaffo e l’inserimento di suono-ambiente la cui fonte è rigorosamente off, la costruzione della tensione nel personaggio avviene, all’inizio, con una sorta di azzeramento del volume –, il cozzare tra due visioni del mondo profondamente americane e fortemente divergenti: da un lato il duro pragmatismo proletario dei bikers, un po’ vagabondi alla Kerouac – ma senza la minima cognizione del concetto di "dharma" – un po’ cavalieri erranti da far west; dall’altro, la vita sopra le righe dei surfisti, malati d’adrenalina che ipocritamente predicano spirituali risalite verso una misteriosa sorgente.
E tra i motociclisti con le loro Harley, uomini rudi ma onesti, dalle mani callose e rotte dal duro lavoro, simbolo della generazione distrutta dal Vietnam e abbandonata al suo destino (nella giungla come in patria), e i surfisti, disertori – ma, viene da dire, senza motivi politici – o già figli degli anni ’80, sempre in cerca di una scorciatoia, una fonte di reddito "facile" o un facoltoso mecenate, lo scontro è inevitabile…
Point Break incontra Il selvaggio (e non Easy Rider, i cui protagonisti, ben più aperti e meno disillusi del vecchio Preston, distrutto dall’esperienza del Vietnam, dimostrano ancora una qualche compatibilità con la cultura hippy), in un romanzo un po’ noir e un po’ western di formazione (nel senso ormai "classico" dei Racconti di Stephen Crane) coinvolgente, ben costruito e condito, soprattutto sul finale, da inserti velocissimi in perfetto stile action anni ’80.
Paragonato a L’ultimo vero bacio di James Crumley e La strana vita di Cutter e Bone di Newton Thornburg (George P. Pelecanos ha definito le tre opere "romanzi rivoluzionari", vere e proprie sfide alla tradizione giallistica), Surf City, riproposto in Italia da Meridiano zero, è un testo che non dovrebbe mancare nella libreria di ogni serio cultore del genere.
Fabrizio Fulio-Bragoni
Pulp
Luglio 2000
…il silenzio inebetito del deserto. Vite inutili, in bilico tra l’orlo della bottiglia e l’ottusa affezione allo status quo. Ike Tuker ha solo vent’anni e il rassegnato terrore degli inetti. Ike aveva una sorella, Ellen, il cui ricordo si perde nella polvere della strada che l’ha inghiottita, un giorno, mentre andava a caccia di futuro. Un futuro che, a giudicare da equivoche notizie, si è inabissato misteriosamente in Messico, dove la ragazza si era diretta in compagnia di tre surfisti avventurieri.
Fare chiarezza sul destino di Ellen si fa allora priorità assoluta ed Ike, che credeva di aver delegato alla sorella il profumo della vita rivendicando per sé il sentore stantio del presente eterno, si catapulta sulle spiagge da incubo di una California inedita, in cerca di tre mostruosi Cavalieri del Surf. Approda così ad Huntington Beach, dove lo attende un’umanità indecifrabile e ghignante e dove la sua strutturale debolezza rischia di soccombere non fosse per il provvidenziale intervento di Preston, cowboy a cavallo di una Harley, e della divorante passione per le onde... Eh sì, ci si è dilungati un po’, e questa non è una quarta di copertina.
Ma ci sono romanzi di cui è difficile scrivere con distacco critico, romanzi che vien voglia di parafrasare, per non tradire la forza delle immagini e il gusto con cui uno scrittore, semplicemente, ti regala una storia. E Kem Nunn, inedito fino ad ora in Italia, è di quelli che credono nelle storie, che amano i propri personaggi, e che hanno voglia di farti ’sentire’ gli scenari. È così difficile trovare uno scrittore che non intellettualizzi l’interazione tra personaggi e ambienti, che sappia scrivere un romanzo d’avventura e convogliare una visionarietà decisa e mai fine a se stessa, in un respiro classico.
È così difficile anche se talvolta la trama si avvita e il protagonista non sempre pare dotato di saldissima coerenza, si può ben chiudere un occhio. L’importante è tenerli spalancati, gli occhi, su queste spiagge incredibili, a metà tra Kathryn Bigelow (Point Break, naturalmente) e la brulicante perfidia di un quadro di Hieronymus Bosch, sulle onde gigantesche che travolgono e rigenerano uomini mostri, restituendoci finalmente il piacere dell’epos e l’umiltà esatta del grande mestiere.
Silvia Arzola